Altro che diffamazione: il fatto non sussiste. È definitivamente assolta la funzionaria che risponde contrattaccando alla reprimenda del dirigente nella mail letta in copia dei vertici aziendali: la lavoratrice, infatti, esercita un legittimo diritto di critica così come è legittima l’iniziativa del capo che ritiene di rimetterla in riga, invitandola a rispettare le gerarchie. La replica, d’altronde, ha toni contenuti e comunque non si risolve in un’aggressione gratuita al superiore, anzi rientra in «una fisiologica interlocuzione in ambito lavorativo». Condannare la lavoratrice equivarrebbe invece ad azzerare «il diritto al dissenso in ambito professionale». Lo stabilisce la Cassazione con la sentenza 28771-23 pubblicata il 4 luglio 2023 dalla quinta sezione penale. Il ricorso della dipendente è accolto dopo una doppia sconfitta in sede di merito: la condanna è annullata senza rinvio, mentre il sostituto procuratore generale concludeva per la mancanza di una valida condizione di procedibilità.
Non vale, in effetti, la querela spedita via Pec con la carta d’identità di chi la sporge ma senza firma autenticata. Ma il punto è che «evidente» l’insussistenza del reato ex articolo 595 Cp. Teatro dei fatti è una università italiana, materia del contendere il regolamento per le attività autogestite degli studenti: la funzionaria responsabile dell’ufficio riceve la mail del direttore generale che la invita a non esprimere valutazioni estranee alla sua competenza e a rispettare la gerarchia nelle comunicazioni amministrative; leggono in copia la segreteria del rettore e altri interni all’Ateneo. La funzionaria risponde a tutti gli indirizzi ripercorrendo il proprio operato con alcune pregresse vicende. E definisce «incomprensibile il contenuto e il tono» della mail del dg, «del tutto in linea, spiace dire, con la condotta e le azioni perpetrate a mio danno – chiosa – dalla Sua persona nell’ultimo periodo». Per i giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “ Non si capisce in che senso possa ritenersi diffamatorio il riferimento alle precedenti condotte del direttore: la funzionaria esercita il diritto di critica senza ricorrere a espressioni aspre, che sarebbero comunque legittime purché compatibili con il principio della continenza verbale”.