“Io, condannato all’inferno del carcere di Taranto”. Inizia così la lettera di un poliziotto penitenziario di 52 anni che da 30 anni lavora nelle carceri. Le sue parole, condivise dal sindacato del Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria) che, dopo averle ricevute, ha voluto inviarle, tra gli altri, anche ai vertici dello Stato, in particolare al presidente della Repubblica, Sergio Matarella, ma anche ad alcuni rappresentanti del Governo Meloni.
“Quando mi sono arruolato – scrive il poliziotto penitenziario, che preferisce mantenere l’anonimato – ero un ragazzo del sud con grandi speranze e con il desiderio di poter lavorare in un corpo di polizia dello stato. Ciò mi avrebbe assicurato uno stipendio, nonché mi avrebbe reso fiero del mio lavoro, poiché credevo che con il mio impegno e la mia professionalità avrei potuto contribuire ad aiutare tante persone che dopo uno sbaglio, cercavano il loro riscatto per rientrare a far parte della società. Purtroppo non è andata così poiché nonostante non se ne parli mai, le carceri sono uno di quei problemi che nessuno ha mai voluto affrontare seriamente, certo promesse tante, parole, convegni, proposte da tutte le parti, ma poi quando il sovraffollamento delle carceri diventava intollerabile ecco un bel condono, amnistia, sconto di pena, che svuotavano per un po’ i penitenziari, per poi subito riempirsi, dimenticando che così non si rispettavano le vittime di quei reati che in molte occasioni hanno perso tutto anche la vita; senza parlare delle migliaia di persone con problemi psichiatrici che non sanno dove mettere e li buttano in carcere senza cure” – ha evidenziato sottolineando poi le sue esperienze effetuate nelle carceri di Milano, Napoli, Firenze.
“Tante sono state le situazioni delicate e pericolose che ho dovuto affrontare nel tempo, però nulla in confronto a quello che accade da un po’ di tempo nel carcere di Taranto, dove lavoro da diversi anni” – ha affermato. “Abito con la mia famiglia in un piccolo paesino vicino a Taranto e se non ci fosse questo radicamento con la mia terra, da tempo avrei fatto richiesta di essere trasferito in un altro carcere. Ormai la mattina o il pomeriggio quando entro nel carcere per espletare il mio servizio mi faccio il segno della croce, poiché non so quando, e come ne uscirò . L’altro giorno un mio collega è stato aggredito da un violento detenuto ergastolano arrivato a Taranto da un altro carcere, proprio a causa dei suoi comportamenti aggressivi nei confronti di altri poliziotti. Purtroppo a quel collega non è andata tanto bene poiché i segni di quell’atto di violenza lo perseguiteranno per tutta la vita poiché i danni provocati sono irreversibili. A me è andata un po’ meglio lo scorso mese poiché a seguito di un aggressione da parte di un detenuto psichiatrico, ho ‘solo’ riportato una forte contusione alla spalla ed alcune ferite da taglio guaribili in 15 giorni. Vi posso assicurare – prosegue rivolgendosi alle istituzioni, ma anche al suo sindacato – che dopo un esperienza così, non è per niente facile ritornare a lavorare , anche perché con i detenuti ‘è vietato difendersi’ , poiché se per difenderti gli provochi anche una piccola escoriazione, la magistratura ti mette gli occhi addosso e rischi il reato di tortura” – ha evidenziato.
Alcuni mesi fa, prosegue nel racconto il poliziotto “tre colleghi del carcere di Bari, hanno preso botte da un detenuto psichiatrico riportando una prognosi di 15 giorni di prognosi ciascuno, lesioni che nessuno pagherà mai poichè i c.d. “pazzi” con licenza di aggredire , non pagano mai. Di contro il detenuto presentava qualche escoriazione e subito i familiari, gli avvocati, le associazioni hanno gridato allo scandalo denunciando i tre colleghi, che mi dicono sarebbero anche stati interrogati per questo. Una volta il motto della polizia penitenziaria era “vigilando redimere”, ora invece è, prendere botte e non reagire mai. Peraltro come si fa a reagire quando da solo devo gestire quasi 200 detenuti, senza nessuna possibilità di difesa. Ho deciso di raccontare una giornata lavorativa di ordinaria follia poiché appena entri nel carcere ti trovi in un altro mondo dove le leggi i diritti, l’umanità, rimangono fuori in quanto vige solo la legge della violenza, della prepotenza. Quando sento i leader dei grandi sindacati nazionali che si lamentano per alcune categorie di lavoratori mi viene rabbia, poiché mi chiedo, ed io che sono? Poi mi do la risposta: non un servitore dello Stato ma uno schiavo senza alcun diritto, compreso quello della salute, e della sicurezza” – ha sottolineato.
Il suo turno inizia alle 8 e, spiega “dovrebbe terminare alle 16”. Questo però non avviene quasi mai “perché c’è sempre qualche detenuto che non vuole rientrare nella propria stanza, che si tagliuzza il corpo, oppure un ricovero di urgenza in ospedale di un detenuto per cui non essendoci personale, dopo le 8 ore di inferno ne passo , altrettante buttato nel pronto soccorso. In quasi tutti i reparti detentivi del carcere di Taranto – prosegue – ci sono detenuti pericolosi, prepotenti e violenti provenienti da altre carceri da cui sono stati allontanati, oppure detenuti con seri problemi psichiatrici che non vengono curati adeguatamente, per cui vanno girando per le sezioni a minacciare oppure aggredire altri detenuti o poliziotti. Durante le 8 ore, quando va bene, da solo devo gestire circa 70 detenuti che ti assediano con richieste varie (medico, infermeria, telefonare, doccia, colloqui, educatori, scuola,) e quando queste richieste non vengono esaudite poiché il sovraffollamento manda in tilt gli uffici preposti, iniziano le minacce , le provocazioni, le proteste anche violente. Purtroppo anche le aggressioni sono all’ordine del giorno, per un diniego banale sfondano i cancelli delle stanze, oppure i gabbiotti dei poliziotti. Sempre più spesso siamo costretti ad intervenire per spegnere il fuoco nelle stanze appiccate dai detenuti che protestano per qualsiasi cosa. Il più delle volte non si riesce nemmeno a consumare un panino all’ora di pranzo(la mensa è chiusa da mesi) ,o poter fare una telefonata alla famiglia per informarla che il turno durerà molto di più, e non si sa quando si rientrerà a casa. Quando si riesce ad uscire dal carcere al termine del turno teso come una corda , mi faccio il segno della croce e ringrazio il signore per avermi concesso di ritornare a casa” – ha evidenziato passando poi al racconto del turno pomeridiano.
“Inizia alle 16 e termina alle 24 (sempre se va bene) ed è ancora più tragico poiché da solo, non devo gestire una sola sezione detentiva di 70 detenuti, ma ben 3 per un totale di oltre 200 detenuti. Ogni sezione è lunga circa 50 metri, per cui durante tutto l’orario è una maratona continua con richieste di detenuti che vengono da un reparto all’altro (come una pallina da ping pong), per cui per l’intero orario di lavoro non ci si ferma un attimo . Anche in questo caso avere la possibilità di consumare la cena è un utopia per cui si resta senza mangiare. Peraltro durante questo periodo l’attività è frenetica poiché da soli bisogna far uscire i detenuti dalle stanze ed immetterli nel locale della socialità della sezione. Nel frattempo i detenuti ti chiamano da tutte le parti poiché hanno bisogno di medicine, devono telefonare alle famiglie, eppoi iniziano a sbattere violentemente le porte delle loro stanze se qualcuno sta male, mentre mi trovo nell’altra sezione. Purtroppo questo stress continuo ti mangia il cervello e toglie le forze, poiché non vedi nessuno sbocco o via d’uscita per poter fare il tuo dovere nel rispetto delle leggi . Come pure la salute è compromessa poiché non ho mai fumato in vita mia, ma da 30 anni sono costretto ad inalare durante tutto il turno lavorativo il fumo passivo delle sigarette che i detenuti sono liberi di fumare in quantità industriali. Ho preso una bronchite cronica e piccoli problemi cardiaci che non mi sono stati nemmeno riconosciuti come causa di servizio, per cui mi pago tutte le medicine, le visite specialistiche ecc.ecc. Infine non ho nemmeno il tempo o la possibilità di potermi riposare per riprendermi poiché i riposi settimanali non sempre vengono concessi, come pure le ferie sono date con il contagocce(ho un arretrato di circa 100 giorni. La consapevolezza di poter entrare nel carcere sano ed uscire ammaccato è una costante confortata da numeri che dicono che le aggressioni a Taranto negli ultimi mesi sono state decine, e sei fortunato se non riporti danni o lesioni permanenti, come è accaduto a più di un collega, poiché lo Stato a cui hai giurato fedeltà, e l’amministrazione penitenziaria che ti dovrebbe tutelare e consentire di poter svolgere al meglio il tuo lavoro, se ne fregano di te e della tua famiglia(nemmeno un visita di cortesia quando sei in ospedale) . Potrei continuare per ore, ma credo che se ognuno di quelli che leggeranno questa mia lettera passasse un giorno lavorativo nel carcere di Taranto che l’amministrazione penitenziaria ha trasformato in inferno nel momento in cui ha aumentato i detenuti da 350 a 800 senza mandare nemmeno un poliziotto in più, capirebbe molto di più. Come vorrei che chi sta a Roma o a Bari pagato profumatamente trascorresse un solo giorno nel carcere di Taranto, forse capirebbero quanto male hanno fatto e stanno facendo noi i poliziotti che, chiediamo solamente di essere rispettati e tutelati da leggi dello Stato che , valgono per tutti i lavoratori, meno che per noi” – ha detto ancora mettendo poi nero su bianco le sue speranze.
“Io spero che un giorno la legalità ed il rispetto tornino nel carcere per tutelare, non solo i miei colleghi, ma anche quelle centinaia di detenuti che vorrebbero scontare la propria pena in santa pace, ma che invece sono costretti a subire prepotenze di ogni genere da parte di detenuti violenti che non vengono nemmeno puniti adeguatamente per quello che combinano. E non mi stupirei che presto potrebbe accadere qualcosa di molto grave, anche al sottoscritto se non vengono presi i provvedimenti da parte di chi per conto dello Stato dirige l’amministrazione penitenziaria. Non voglio rendere pubblico il mio nome poiché potrei essere punito, per cui ho inviato questa lettera al mio sindacato con la speranza che intervenga, poiché così non si può più andare avanti” – ha concluso.
Parole a cui hanno fatto eco proprio quelle del sindacato. “Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto la lettera di un poliziotto che lavora nel carcere di Taranto in cui racconta le gravi vicissitudini giornaliere in cui è costretto. Sicuramente la situazione delle carceri nazionali non è rosea, ma quella delle carceri pugliesi è ancora più drammatica, anche perché i detenuti aumentano, abbiamo superato le 4050 unità per 2600 posti, mentre non arriva nessun poliziotto. Ci sono carceri come Taranto, Foggia, Trani, Bari, Lecce, Brindisi, Turi dove risulta essere difficile anche fare qualche giorno di ferie in estate, ormai diventa inutile anche protestare, poichè il Dap dovrebbe solo agire, e presto” – concludono.
Carcere Taranto, foto Sappe