Non un semplice momento di riflessione, ma testimonianze e buone pratiche sulla legalità attraverso le parole e le esperienze sul campo di un prete di periferia, Don Angelo Cassano, di un sindaco, Giovanna Bruno, e di un magistrato, Giannicola Sinisi. Tre diverse prospettive per dialogare con la comunità e ribadire la “necessità di una vera rete di antimafia sociale” che coinvolga parrocchie, scuole, associazioni e tutti i livelli istituzionali. È il dibattito al centro della tavola rotonda “Credenti e credibili”, svoltasi a Bari e organizzata da tutte le realtà dell’Istituto Salesiano Redentore ed animata dall’aps “Laboratorio Don Bosco oggi” per il “Red Book, salone del libro educativo” in occasione del “Red in Fest”.
Un dibattito ispirato alle parole del Beato Rosario Livatino, il giudice 38enne ammazzato nel settembre del 1990 dalla mafia e le cui reliquie (la camicia insanguinata che indossava al momento dell’attentato) sono arrivate in questi giorni a Bari per l’esposizione in diversi luoghi simbolo, tra i quali il Redentore. A presentare la reliquia don Gero Manganello della Diocesi di Agrigento perché “la figura di Livatino ancora oggi parla, parla nelle scuole tra i ragazzi, parla nelle carceri tra i detenuti”.
Dopo i saluti del direttore dell’istituto Salesiano, don Pasquale Martino, e del presidente dell’aps Don Bosco, don Giuseppe Ruppi, la prima testimonianza è toccata a don Angelo Cassano, parroco della chiesa San Sabino di Bari e referente regionale di Libera Puglia. “La legalità – ha sottolineato don Cassano – è uno strumento che deve portare alla giustizia sociale e ancora oggi occorre non abbassare la guardia perché le mafie stanno cambiando volto e stanno diventando impresa. Sono pronte a non renderti più libero anche di fronte alla richiesta del più piccolo dei favori”. Da qui la necessità di un maggiore controllo “sul contrasto alle povertà, alla dispersione scolastica e all’emergenza sfratti, temi amplificati dal Covid”. E don Angelo si è soffermato anche sui giovani, sul traffico di droga in città e sul rischio che “molti ragazzi, anche della borghesia, finiscano nelle maglie della criminalità”. “Per questo tutte le realtà cittadine – ha ribadito – devono fare autocritica e avere più coraggio nel fare delle scelte, partendo dalla creazione di una rete educativa”.
Rosario Livatino, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono i tre esempi concreti di “martiri della giustizia” citati dal magistrato Giannicola Sinisi: “La magistratura deve avere una vocazione laica: mettersi a disposizione della comunità. Dopo l’omicidio Livatino e le stagioni delle stragi mafiose del ‘92 e del ’93, quando sembrava che lo Stato stesse crollando, abbiamo avuti questi esempi concreti, cito anche don Pino Puglisi, che ci hanno insegnato a essere credenti e credibili. Un cammino, seppur lungo, è stato finalmente fatto nella netta presa di posizione contro la mafia. A quell’epoca la cosiddetta “maglia grigia” era la più diffusa, oggi invece i colori pro e contro la mafia sono ben definiti. Oggi molti ragazzi conoscono queste storie e ciò mi consola. Quei fatti terribili sono dentro una storia molto più lunga. La cultura mafiosa va combattuta non solo nelle aule di giustizia ma anche nella società e tra le strade. E Livatino ci ha insegnato che non basta solo condannare, ma prendersi cura anche dei detenuti ed ex detenuti”.
E l’essere credenti e credibili passa anche attraverso l’azione amministrativa e la guida di un Comune, grande e piccolo che sia. “Anche noi amministratori pubblici – ha spiegato Giovanna Bruno sindaca di Andria e attivista salesiana sin dall’infanzia – non possiamo far finta di vivere in un modo sdoppiato il nostro essere credenti e credibili. Il carisma lo si pratica quotidianamente. Come la gente può percepire che noi siamo credenti e credibili? Professare è un conto, metterlo in campo è un altro. Nel mio caso per governare la mia città ho fatto delle scelte chiare siglando dei patti di sicurezza con le forze dell’ordine e promuovendo il festival della legalità. Le nostre città sono spesso infestate da piccole azioni criminali che sono invisibili. E per questo anche le istituzioni devono avere la propria credibilità partendo anche dalle piccole cose. Ogni azione di legalità deve vedere protagonisti non solo il sindaco ma anche tutta la comunità”.
Impegno a fare rete e a proseguire nel contrasto alle mafie e all’illegalità gli obiettivi del Comune di Bari, rappresentato nei saluti istituzionali dagli assessori Ines Pierucci (Cultura) e Vito Lacoppola (Legalità e Patrimonio). “I saperi, la conoscenza e cultura sono strumenti che dobbiamo mettere in campo quando si ha paura di qualcosa. Prima di parlare di legalità occorre costruire un mondo di pace”, le parole dell’assessora Pierucci. “Negli ultimi 15 anni – ha spiegato l’assessore Lacoppola – 122 beni sottratti alla gestione della criminalità sono stati assegnati dal Comune ad associazioni, onlus, terzo settore ed emergenza abitativa. La storia del giudice Livatino va spiegata nelle scuole, tra i ragazzi perché solo con una vera sinergia possiamo cambiare il nostro territorio ed educare alla legalità”.