Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Statte zitta ”
Basta soltanto leggere “Me so ‘mbriacato”, per iniziare a canticchiare quella melodia così fresca, solare che seppur di qualche anno fa, ricordiamo tutti ancora a memoria.
Mannarino è uno dei cantautori romani più amati degli anni Duemila, e come dar torto a chi la sua musica la ascolta e riascolta.
La carriera di Mannarino non inizia da piccolo, come solitamente ci si aspetterebbe; è solo a 22 anni che decide di dedicarsi con costanza alla musica, cercando e assecondando la sua vena artistica.
Ad accoglierlo in questo primo momento è il suo Rione Monti, dove si esibisce in performance che talvolta sono un mix tra un concerto voce e chitarra e un dj set. Qualche anno dopo fonda una band “Kampina” e inizia a farsi conoscere maggiormente in tutta la Capitale.
Ma Mannarino non è solo musica, infatti durante uno spettacolo teatrale viene notato da Serena Dandini che decide di renderlo partecipe nella trasmissione “Parla con me” per ben tre stagioni consecutive. Per il giovane cantautore cresce la notorietà in tv, ma ancor più nelle piazze.
Marrarino e il suo più grande successo
Il suo brano più conosciuto è indubbiamente la ballata romana “Me so ‘mbriacato”. Un testo che velatamente paragona il vino all’amore, perché entrambi sono fondamentalmente capaci di farci perdere il controllo, di non farci avere quella lucidità decisionale di sempre. La donna è immaginata come piacere e soddisfazione del protagonista, che quando c’è lei, non ha nemmeno più bisogno di mangiare.
Ma come non citare “Statte Zitta”. A differenza della precedente, è una storia d’amore andata male, ma una di quelle da cui non riesci ad uscirne e ci ricaschi, senza un vero perché, tanto che il protagonista se lo chiede più volte “solo mi chiedo perché, sto così bene con te”. Un sali e scendi, un alternarsi di luce e buio più profondo.. ma non è forse così, per tutti infondo l’amore?
Un nuovo modo di guardare il mondo
E poi l’album di inediti “Al monte”. Il suo nuovo modo di guardare il mondo.
“Fino a oggi la pancia è stata il mio punto di forza: ho sempre scritto sull’onda della rabbia. In questo disco invece il punto di partenza è stata la testa, perché questo è un momento in cui più che piangere serve pensare, mettere da parte l’urlo e i piagnistei”.
Mannarino analizza quella che è la società odierna, in cui appena nato ti senti dire di stare attento a non diventare cattivo, anziché incoraggiato a sviluppare le potenzialità che certamente hai. Vuole reinventare il mondo e lo fa nel penultimo brano: “Le stelle”. Una delle canzoni più belle e tristi degli ultimi tempi. Voce, piano e contrabbasso per una melodia delicata, quasi lunare. C’è semplicemente l’uomo con la sua natura umana.
Mannarino, l’antidoto alla tristezza
Ci piace accostare Mannarino a quelli che sono i maestri dei quali segue le orme: Vinicio Capossela e Franco Califano. Dal primo prende spesso la linea della narrativa caratteristica del cantautorato italiano, mescolata al post-folk popolare, dal secondo il fervore come portabandiera della romanità. Forse è anche merito di questo mix la capacità del cantautore di muoversi su linee intime rare, ma allo stesso tempo di ricercare la libertà più estrema. La prova ne è proprio il disco “Apriti cielo”. Il titolo è di per sé dalla libera interpretazione: può essere un’esclamazione di speranza o una frase detta davanti a qualcosa che dà particolarmente fastidio.
Mannarino in verità qui ricerca i colori, la spensieratezza, la spinta vitale come antidoto alle situazioni complicate, difficili, invita ad affrontare la realtà con un spirito diverso, cercando di “trasformare la tristezza in qualcos’altro”. Perché in fondo ciascuno è in grado di vedere le cose in modo diverso dal solito e di dare la propria interpretazione. “Come quando si guardano le nuvole o le stelle e si creano delle forme. Siamo noi che mettiamo i significati nelle cose della vita, possiamo trovare un senso positivo o negativo a tutto quello che viviamo. Questo è un po’ il significato del disco: la tua vita dipende da te“.
Foto: Wikimedia