Falso in bilancio per gli anni 2016, 2017 e 2018, ostacolo alla vigilanza della Consob e di Bankitalia, estorsione e lesioni personali ai danni di un manager e aggiotaggio bancario ai danni degli azionisti della banca. Sono le accuse con le quali la Procura di Bari ha emesso gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari nei confronti degli ex vertiti della Banca popolare di Bari, commissariata dalla Banca d’Italia nel 2019, in particolare a dicembre.
Secondo quanto emerso, l’ammontare delle false comunicazioni sociali è stimato intorno a diverse centinaia di milioni di euro. Ventitré, in totale, i capi di imputazione per i quali, a vario titolo, sono accusati gli indagati, sia attraverso i falsi in bilancio sia nelle comunicazioni alla clientela, per aver minato la stabilità patrimoniale e la capacità di essere solvibile della banca, di aver alterato la percezione della solidità bancaria, ovvero la fiducia dei risparmiatori che avevano affidato alla Banca Popolare di Bari i propri risparmi in gestione fiduciaria. Più nello specifico, i reati contestati, riguardano il periodo compreso tra il 2013 e il 2019. L’atto di chiusura delle indagini è stato notificato a Marco e Gianluca Jacobini, padre e figlio, rispettivamente ex presidente ed ex vice della Bpb, oltre che a Vincenzo De Bustis Figarola, ex dg e Ad della banca, Giorgio Papa, ex As, Roberto Pirola, ex presidente del collegio sindacale e infine agli ex dirigenti Elia Circelli, Giuseppe Marella, Gregorio Monachino, Nicola Loperfido e Benedetto Maggi.
Più nel dettaglio, ai dieci indagati, sono stati contestati quindici episodi di falso in bilancio, uno di aggiotaggio, uno di estorsione, ma anche maltrattamenti e lesioni. I restanti sei per ostacolo alla vigilanza della Consob e di Bankitalia. Le contestazioni di falso in bilancio fanno riferimento, oltre a quanto già citato, anche all’omessa svalutazione degli avviamenti per le società Tercas-Cassa di risparmio della Provincia di Teramo e Banca Caripe spa per una cifra pari a 32,4 milioni (nel 2016) e 82,5 milioni (nel 2017) “al fine di occultare le perdite”. L’omesso accantonamento in bilancio di 42 milioni, ovvero la somma da versare ai creditori, al fine di attestare nel bilancio 2016 un utile ritenuto inesistente. Nel bilancio del 2017 sarebbe stata indicata poi un’apparente liquidità di 500 milioni derivante da un’operazione di “cartolarizzazione” e l’entrata, nel fondo, della finanziaria Chariot funding llc, dalla quale però Bpb uscì subito dopo l’approvazione del bilancio, nel gennaio 2018, “così da far apparire in bilancio una liquidità inesistente”.
Per quanto riguarda i bilanci degli anni 2016, 2017 e 2018, gli indagati sono accusati di non aver contabilizzato alla voce ‘Rettifiche per rischio di credito’ rispettivamente le somme di 490 milioni, 506 milioni e di 542 milioni. Altre contestazioni di falso in bilancio riguardano invece la registrazione nei consuntivi di imposte anticipate di perdite fiscali con l’obiettivo di occultare le perdite, ma non solo, anche la registrazione nel consuntivo della partecipazione al Fondo Atlante per 24 milioni, con un valore reale svalutato che, secondo l’accusa, fu utilizzato dalla banca per far apparire in bilancio un utile in realtà inesistente.
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