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Inchiesta Covid, il microbiologo Crisanti: “Speranza sapeva, ma non agì in tempo”

Pubblicato da: redazione | Sab, 4 Marzo 2023 - 09:30

Sin dal 12 febbraio 2020, ovvero otto giorni prima del Paziente 1, “i componenti della prima task force del ministero e poi del Cts, conoscevano la situazione di vulnerabilità in cui si trovava l’Italia di fronte alla la pandemia di Covid e tuttavia decisero di secretare il piano che avrebbe potuto salvare migliaia di vite”. Sono le parole scritte dal microbiologo Andrea Crisanti nella consulenza depositata alla Procura di Bergamo nell’ambito dell’inchiesta che vede coinvolti 19 indagati, tra loro anche l’ex premier, Giuseppe Conte e l’ex ministro Speranza.

“Per 16 anni – ha sottolineato Crisanti riferendosi all’arco temporale che va dal 2004 al 2020 – non era mai stata verificata la preparazione dell’Italia nei confronti di un rischio pandemico. L’Italia, quando scoppiò l’epidemia di Covid aveva un manuale di istruzione, questo era il piano pandemico. Se poi ha affrontato la pandemia senza un manuale è perché questo è stato scartato a priori senza essere valutato dai principali organi tecnici del ministero ai quali l’ex ministro Speranza fa riferimento quando afferma che il piano era datato e non costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale” – ha specificato ancora Crisanti.

“La ragione per la quale azioni più tempestive e più restrittive non sono state prese – prosegue – la fornisce il presidente Conte quando nella riunione del 2 marzo 2020 afferma che la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale politico ed economico molto elevato. Queste considerazioni hanno prevalso sulla esigenza di proteggere gli operatori del sistema sanitario nazionale e i cittadini dalla diffusione del contagio” – ha concluso. La valutazione spetterà ora al Tribunale dei Ministri di Brescia che dovrà stabilire la posizione dell’ex Premier Conte e dell’ex ministro Speranza, indagati dalla Procura di Bergamo nell’inchiesta riguardante la gestione della prima ondata di Covid in Val Seriana, tra le zone più colpite d’Italia dove tra la fine di febbraio e i primi di marzo dell’anno 2020, la diffusione del virus era ormai “incontrollabile” per via, sospetta l’accusa, di “una serie di ritardi e omissioni dovuti alla mancata istituzione della zona rossa e alla non applicazione del piano pandemico influenzale del 2006, quello che tre anni fa era in vigore in quanto mai aggiornato”.

“Ora denunce per non aver chiuso a sufficienza, in precedenza invece per aver chiuso” – ha sottolineato l’ex premier Giuseppe Conte, che ha dichiarato anche di aver riferito alla Procura sulla zona rossa e di sentirsi “tranquillo”. Nel frattempo, i pm bergamaschi hanno inviato gli atti relativi alle posizioni dell’allora Capo del Governo e ora presidente di M5S e dell’attuale deputato di Articolo 1 ai colleghi bresciani. Gli atti saranno esaminati e studiati in questi giorni. Il Tribunale dei Ministri dovrà decidere poi entro 60 giorni se consentire ulteriori approfondimenti, altrimenti, entro 90 giorni, dovrà compiere indagini preliminari dopo le quali potrà disporre o l’archiviazione o la trasmissione al Procuratore affinché chieda l’autorizzazione a procedere alla Camera di appartenenza.

Foto repertorio

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