Non è da escludere che il governatore di Puglia Michele Emiliano rilancerà con il terzo mandato. La possibilità c’è, insomma anche se esistono tante variabili. A precisarlo è lo stesso Emiliano: “È presto parlarne, la situazione è in continua evoluzione. La nostra è una squadra larga, efficiente e ricca di personalità capaci, a cominciare da Antonio Decaro. È ovvio, comunque che bisognerà tener conto dell’evoluzione del quadro politico. Si parla di legge terzo mandato nelle Città Metropolitane e nei Comuni, si parla della stessa legge per le Regioni, ma il ventaglio di persone candidabili ai diversi ruoli resta ampio. Non c’è nessuna esclusività. Da sempre mi pongo il problema della generazione successiva e della partecipazione alle scelte. Fermo restando che, se avranno bisogno ancora di me, sarò ben contento di garantire la mia disponibilità e il mio contributo”.
“La cosa importante – ha concluso Emiliano – al di là dei nomi e dei protagonisti è come far continuare questa bella storia amministrativa pugliese, che in vent’anni ha cambiato tutto. Da quando arrivai dalla Procura di Agrigento a quella di Brindisi: mi ricordo cosa era allora Puglia, e quanto disperata fosse la situazione. Ho visto questo cambiamento prima da magistrato, poi da sindaco e dopo da presidente della Regione: un cambiamento fatto e voluto dai pugliesi, più che da singole personalità, accompagnata da grande capacità politica, da parte nostra, una comunità, ancor più che una coalizione, che ha guidato l’indirizzo politico ricevuto dagli elettori”.
Il presidente sollecita inoltre gli ex consiglieri di maggioranza – fuoriusciti ed approdati ad Azione – di essere coerenti con la loro scelta legittima e di dimettersi dalle funzioni ricoperte in virtù della precedente appartenenza politica. “La situazione rasenta il comico – ha dichiarato Emiliano – i consiglieri in questione, pur avendo loro deciso di lasciare la compagine con la quale sono stati eletti, pur essendo stati estromessi dalla maggioranza, quindi non facendone più parte, assistiamo al paradosso di una loro pervicace resistenza ad occupare gli incarichi ricoperti, in funzione di un’appartenenza venuta meno”.