L’acufene (tinnito o “ronzio auricolare”) è un sintomo (non una malattia) caratterizzato dalla percezione di un suono o rumore con diverse modalità psicoacustiche in uno o in entrambi gli orecchi o a volte al centro della testa che non è generato da nessuna fonte sonora esterna (c.d. “suono fantasma” di Jastreboff). I dati epidemiologici indicano la prevalenza di questo sintomo essere di circa il 14% nella popolazione italiana (valori simili anche nei paesi europei); nel 5% sarebbe riferito come fastidioso e nell’1% estremamente invalidante con ripercussioni anche gravi sulla qualità della vita di chi ne è afflitto (suicidio).
L’acufene può essere scatenato da una molteplice varietà di cause che possono agire sinergicamente ma la ipoacusia rappresenta il più grosso fattore di rischio. Non sempre, però, l’acufene è associato ad una perdita dell’udito (ipoacusia) e non c’è nessuna correlazione tra gravità del disagio o intensità dell’acufene e grado della ipoacusia. Infatti a volte una forma grave ed invalidante di acufene può essere associata ad un udito perfettamente normale e, viceversa, una grave ipoacusia non essere associata ad alcun acufene. A tal proposito diverse ipotesi sono state proposte per cercare di dare una spiegazione a tale apparente incongruenza.
Comorbidità spesso associate e presenti in vario grado di espressione sono ansia, depressione, cambiamenti della personalità con condotte di evitamento e disturbi del sonno intesi come difficoltà ad addormentarsi, risvegli notturni frequenti o precoci. La percezione di questo “suono fantasma” può essere considerata come un disturbo multifattoriale, generato e mantenuto da diverse cause, non solo otologiche, che fra l’altro variano da persona a persona. L’acufene può essere il prodotto di svariate patologie, non limitate al solo distretto uditivo, in cui l’orecchio svolge un ruolo preminente ma dove tutto l’organismo può contribuire a generare e mantenere questo fastidioso disturbo.
Numerose sono state nel corso degli anni le teorie etiopatogenetiche proposte anche attraverso modelli animali (comportamentali ed elettrofisiologici) senza che nessuna di queste sia stata pienamente accettata o confermata sull’uomo. Dalle Teorie “periferiche” ove il primum movens nella genesi dell’acufene è identificato in alterazioni dell’orecchio esterno, medio o interno (la c.d. riduzione dell’input uditivo) quali patologie del condotto uditivo esterno o dell’orecchio medio o per danni cocleari a carico della micromeccanica delle cellule acustiche o dei fluidi endolabirintici oppure alla disfunzione del contatto sinaptico cito-neurale per fenomeni di sinaptopatia o per eccito-tossicità variamente indotta o, ancora, a patologie del nervo acustico) si è passati alle teorie “centrali” con identificazione dei generatori dell’acufene a livello tronco-encefalico come il nucleo cocleare dorsale, collicolo inferiore (la cui attività appare aumentata a seguito di un ridotto input periferico o per ridotta attività inibitoria su queste stazioni neuronali quale tentativo di compenso maladattativo), o delle aree responsabili della cronicizzazione del sintomo a livello sub-corticale (per alterazione dei filtri talamici, coinvolgimento dell’ippocampo e amigdala) o corticale nelle aree uditive centrali primarie con fenomeni di plasticità neurale, aree uditive associative come la corteccia pre-frontale ventromediale, ecc..).
Recenti ed unanimemente accettate sono infine le ipotesi che vedono l’acufene quale espressione di una problematica multimodale in cui periferia e centri nervosi sono coinvolti con meccanismi a feedback di rinforzo e di inibizione nella sua genesi e, nel caso di cronicizzazione, di una inefficace azione di soppressione da parte di filtri corticali, nel suo mantenimento. Pertanto qualunque forma patologica che colpisca l’orecchio o le vie nervose correlate (periferiche e centrali) può essere responsabile della comparsa di un acufene e di alterazioni delle normali connessioni nelle aree uditive centrali.
Anche anormali processazioni di un segnale generato nel sistema uditivo possono essere responsabili della percezione e della persistenza dell’acufene al di là della eventuale risoluzione dell’evento scatenante con coinvolgimento in vario grado anche di strutture non uditive quali il sistema nervoso vegetativo e limbico. Queste ultime sono responsabili delle risposte di tipo riflesso ed involontarie quali una ridotta tolleranza sonora (su base organica come in caso di ipocusia con recruitment o solo funzionale come nella miso o fonofobia), sudorazione, palpitazioni e alterazioni cognitivo-comportamentali con flessione del tono
dell’umore, ansia depressione, condotte di evitamento o disturbi del sonno.
Va anche ricordato che l’acufene può anche essere la espressione di alterazioni a carico di segmenti muscolo-tendinei o scheletrici del distretto cervico-brachiale o della cerniera atlo-occipitale o, ancora, della articolazione temporo-mandibolare (c.d. “acufene somatico”) per un coinvolgimento delle vie uditive centrali con le vie nervose afferenti trigeminali (fenomeno di crosstalk neurale). In una minima percentuale dei casi l’acufene può essere anche percepito dall’esaminatore oltre che dal paziente (c.d. “acufene oggettivo”) ed in tal caso riconoscere cause identificabili e generalmente trattabili con efficacia (es. mioclono del velo palatale o del muscolo tensore del timpano, malformazioni artero- venose del collo o della testa, tumori glomici, ecc).
In conseguenza della ancora nebulosa eziopatogenesi dell’acufene e della estrema variabilità delle teorie avanzate, numerosi, variabili e discutibili sono i trattamenti (farmacologici e non), proposti nel tempo per la cura del tinnito. Pertanto chi soffre di acufene sia di recente insorgenza che, soprattutto cronico (cioè da più di sei mesi) è bene che si rivolga presso un Centro specializzato nella diagnosi e cura di questo sintomo e non da un singolo specialista (in genere il primo ad essere coinvolto è l’otorinolaringoiatra o l’audiologo). Caratteristiche dell’acufene che devono essere degne di una diagnosi precoce sono la unilateralità del sintomo (ancor di più se associato a ipoacusia e a sintomatologia vertiginosa o disturbo della deambulazione) e la pulsatilità.
Solo presso un centro qualificato il paziente acufenopatico può essere seguito da un team
multispecialistico dove varie figure altamente professionali e dedicate quali audiologi, otojatri, audioprotesisti, psicologi, odontojatri, neurologi, ecc., alla fine di uno specifico percorso diagnostico ed una adeguata e imprescindibile attività di counselling, possono confermare o escludere una patologia audio- otologica, caratterizzare e classificare il suo acufene e quindi proporre la strategia terapeutico-riabilitativa più confacente al suo problema. Strategia che, a seconda dei casi, può essere rappresentata da una terapia farmacologica (se per esempio si rilevano comorbidità associate quali disturbi del sonno, ansia o depressione o problematiche internistiche o psichiatriche), chirurgica (in caso di ipoacusie suscettibili di tale opzione come il trattamento di un neurinoma dell’acustico, di otiti croniche perforate, otosclerosi, la decompressione del sacco endolinfatico nella Meniere farmaco-resistente, il mioclono dello stapedio o del tensor tympani o la applicazione di impianti cocleari in acufeni invalidanti associati a perdite uditive profonde o alcuni acufeni oggettivi).
Altra strategia è quella della “SOUND THERAPY” che prevede arricchimento sonoro ambientale o personalizzato, tecniche di mascheramento parziale dell’acufene o protesizzazione acustica o miscelatori sonori (nelle ipoacusie neurosensoriali pantonali o settoriali associate ad acufene) e, se necessario, terapie desensibilizzanti in caso di ridotta tolleranza sonora. Nei casi di acufene somatico indicata e con buoni risultati la terapia ortodontica o fisiokinesiterapia (nelle alterazioni del rachide ) mentre il ricorso a sedute psicologiche o psichiatriche e a percorsi riabilitativi (terapia cognitivo-comportamentale, bio-feedback, EMDR) si consiglia vivamente, nei casi di acufene in soggetti (spesso giovani e normoacusici) con flessione del tono dell’umore o somatizzazione di traumi vissuti o con disturbi cognitivo comportamentali (generalmente anziani) o patologie psichiatriche (es. disturbi ossessivo-compulsivi, schizofrenia, allucinazioni uditive).
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Piero Fanizzi, Otorino – Policlinico di Bari