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Calcio, l’ex De Rosa si racconta: “Volevo scrivere la storia del Bari’

Pubblicato da: Nicola Lucarelli | Gio, 15 Dicembre 2022 - 16:30

Nella sua ultracentenaria storia, il Bari ha potuto schierare innumerevoli campioni. Tra questi, va sicuramente annoverato Gaetano De Rosa. Calciatore dalle grandi doti tecniche che ha deliziato i tifosi biancorossi a cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000.
De Rosa ha militato sia nel Bari che nella Reggina, compagini che si affronteranno nel prossimo turno del campionato cadetto. L’ex capitano biancorosso si è concesso a un’intervista in esclusiva ai microfoni di Borderline24.com per raccontare la sua vita, la sua carriera e il suo passato in Puglia e Calabria.

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È ancora nel mondo del calcio?

“Sono momentaneamente in stand by, attendo un progetto che collimi con le mie idee, ma sempre nel mondo del calcio giovanile”.

La sua storia è molto particolare. È nato in Germania da genitori napoletani. La sua prima squadra è stata la Wfl Benrath.

“Esatto. Ho iniziato in quel club all’età di cinque anni. Sono rimasto in Germania sino ai dieci anni, poi sono tornato a Napoli, la mia città d’origine.”

Nel 1984 è tornato in Italia con il calcio nel cuore. Lunga trafila nel settore giovanile del Napoli, poi l’esordio il 16 maggio 1993 in prima squadra insieme a tanti grandi campioni.

“Nel capoluogo campano è iniziata la mia trafila nel settore giovanile partenopeo. All’inizio non trovavo spazio e mi accontentavo di fare il guardalinee, ma sempre speranzoso di poter dire la mia un giorno, senza abbattermi. Ma ero in buona compagnia: anche un certo Fabio Cannavaro venne accantonato come me. Insieme passammo alla Gis Napoli, una società satellite. Dopo un anno, tornammo nel settore giovanile del Napoli e vincemmo il campionato italiano Allievi. Continuai il mio percorso nelle giovanili sino all’esordio in prima squadra nel 1993: Pescara Napoli e fu Ottavio Bianchi a farmi esordire nel Napoli di Careca, Fonseca e Alemao”.

Seguirono annate non felici sino all’approdo nel Savoia. A Torre Annunziata la svolta della sua carriera.

“Prima del Savoia ci fu la parentesi al Palermo e le cose non andarono benissimo. Dopo sono stato alla Pistoiese, ma in quell’anno ero anche militare e giocai poco. Tuttavia, mi tolsi delle soddisfazioni giocando con la nazionale militare: con me c’era un certo Alex Del Piero. Poi arrivò il trasferimento al Savoia in serie C: sono stato lì due anni. Devo tanto a quella società anche perché cambiai ruolo diventando ‘libero’, anche se, nella “Berretti” del Napoli, mi ero già cimentato in quella posizione. Nel Savoia, furono i mister D’Arrigo e Improta a schierarmi nuovamente in quel ruolo. Giocando da ‘libero’ guadagnai autostima e consapevolezza dei miei mezzi.”

E proprio nel Savoia venne scoperto da Carlo Regalia che la portò a Bari. Con i galletti si mise in mostra nel massimo campionato. Rimase in Puglia dal 1997 al 2004 collezionando 212 presenze e 12 reti.

“Ero seguito da diverse società, ma accettai l’offerta che mi fece il Bari tramite il ds Carlo Regalia. Vorrei precisare una cosa: è vero, ho raccolto 212 presenze con i galletti, ma nel mio caso ho quasi sempre giocato 90 minuti. Ero felice nel Bari e rinunciai a diverse proposte di altri club: il mio sogno era quello di iniziare e finire nel Bari per scrivere pagine importanti per il club pugliese. Purtroppo però, dopo 7 anni, la mia esperienza barese terminò a malincuore e non per mia scelta. Ci fu poco rispetto nei mie confronti e vennero fuori situazioni poco piacevoli”.

Restando all’esperienza barese, se le dico Bari Sampdoria 3-1 del campionato 1998/99. Zambrotta, Osmanoviski…De Rosa.

“Un gol bellissimo che ricordo con piacere e non tanto per la mia conclusione finale, ma per l’azione che costruimmo, partendo dal basso. Quell’azione mise in evidenza la grandezza di Eugenio Fascetti, un tecnico che non ha mai limitato nessuno, anzi: ci metteva nelle condizioni migliori per far venir fuori le nostre qualità.”

La piazza di Bari è abbastanza umorale. Si passa dall’esaltazione alla depressione in poco tempo. Che rapporto aveva con i tifosi biancorossi?

“Si, piazza troppo umorale quella barese. Con i tifosi biancorossi avevo un rapporto limitato, con più silenzi che parole, ma di grande stima. Parlavo poco quando era a Bari ma non perchè non avessi il coraggio o la forza per affrontare i problemi. Troppo chiacchiericcio su di me: se qualche tifoso mi ha visto anche solo una volta in discoteca, sono disposto a pagargli un super premio. In 7 anni a Bari non sono uscito una sera ed è stato un errore. A tal proposito ricordo che Fascetti, quando ero squalificato e quindi non disponibile per la gara, mi diceva: “Gae, oggi fai doppia seduta, poi levati dai…e vai a divertirti”. Mi rimproveravano di non essere un buon capitano perché non riuscivo ad impormi con i miei
compagni, senza considerare tutti i problemi che c’erano in quel periodo, a partire da quelli societari e ambientali. Mi rendevo conto che c’era precarietà attorno a me e questo mi spaventava: se il mercoledì facevi una buona cosa, il giorno dopo non era più sufficiente. L’idea che i calciatori sono come dei robot e devono dare sempre il meglio, è sbagliata. Il giocatore non deve essere giudicato per il rendimento, ma per la vita che conduce e se si comporta da professionista.”

Dopo l’esperienza a Bari, il passaggio alla Reggina, prossimo avversario dei galletti. Con la maglia amaranto collezionò 67 presenze e sei reti. Che esperienza fu?

“Grandissima esperienza: ho scoperto una città dal grande senso civico. Dal punto di vista sportivo mi sono trovato molto bene col tecnico Mazzarri e riuscimmo ad ottenere due salvezze consecutive.”

Il 10 settembre 2008 ha deciso di lasciare la carriera calcistica all’età di 35 anni. Come mai così presto?

“Giocai per due stagioni col Genoa: avevo voglia di misurarmi per qualcosa di diverso dalla salvezza. Era diventato troppo logorante, troppa paura di non farcela, troppe contestazioni. Volevo giocare in maniera spensierata. Ci giocammo la promozione in A e ricordo che, da Napoli, fecero un pullman di 40 persone per venirmi e veder giocare. Poi decisi di smettere per un motivo semplice: nacque mia figlia Rachele e decisi di fare il papà.”

È stato tra i calciatori più forti visti con la maglia biancorossa. Se pensa alla sua carriera, ha qualche rimpianto?

“Non ho nessun rimpianto perché ho fatto quello che desideravo e lo rifarei”.

Il suo Bari in A è stato tra i più forti e competitivi di sempre. Peccato per quell’Europa mai raggiunta…

“La qualificazione in Coppa Uefa l’abbiamo sfiorata in diverse occasioni. Paradossalmente, proprio l’anno in cui siamo retrocessi, avevamo la squadra più competitiva. Ci furono tanti infortuni e molti di noi vennero colpiti dalla pubalgia.”

Mancini, Ingesson e Masinga. Tre campioni che ci hanno lasciato troppo presto. Ricorda qualche episodio particolare legato a loro?

“Tre fantastici uomini, pieni di valori ed umanità. Da loro ho imparato molto e non solo come calciatore. Ricordo un aneddoto legato ad Ingesson. Quando il Bari lo acquistò, non lo conoscevo. Me lo ritrovai in camera durante la notte: vidi questo ‘omone’ nella mia stanza e fu un impatto molto particolare. Poi, col tempo, ci siamo conosciuti e mi mise sotto la sua ala protettiva. Perdere questi tre compagni è stato un qualcosa di assurdo”.

E veniamo al Bari dei giorni nostri. Segue ancora i biancorossi? Sorpreso da questo girone d’andata?

“Non seguo molto le partite, mi limito a guardare i risultati e la classifica. Ma una cosa voglio dirla: sento parlare spesso di A2 e robe simili. Non sono d’accordo. È sicuramente un campionato difficile, ma tra la serie cadetta e la serie A c’è un abisso. Non scherziamo. Torneo comunque incerto, ma vorrei ribadire un concetto: quello che è stato fatto sino ad ora da Mignani e i suoi ragazzi è ormai storia. A prescindere da quello che accadrà nei prossimi mesi, i momenti negativi non devono far dimenticare quanto fatto di buono.”

Come detto, lei è napoletano ma ha il Bari e Bari nel cuore. E proprio queste due società hanno in comune la stessa proprietà. Una spada di Damocle, quella della multiproprietà che non lascia sereni i tifosi, specie se il Bari dovesse andare in serie A. Che ne pensa?

“Dico solo una cosa: per ora pensiamo ad andare in serie A, poi ci porremo il problema.”

Sabato c’è Reggina Bari. Una sfida di altissima classifica. Che partita sarà e chi vede favorito? Per chi farà il tifo?

“Sono stato bene in entrambe le città, anche se i sette anni di Bari hanno il loro peso. Mi auguro che sia Bari che Reggina riescano ad ottenere la promozione in serie A.”

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