L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da alterazioni qualitative tali da provocare un aumento del rischio di frattura (in particolare del femore e delle vertebre) anche per lievi traumi. Rappresenta una malattia di rilevanza sociale, la sua incidenza aumenta con l’età sino ad interessare la maggior parte della popolazione oltre l’ottava decade di vita.
Si stima che in Italia vi siano oggi circa 3,5 milioni di donne ed 1 milione di uomini affetti da osteoporosi. Poiché nei prossimi 20 anni la percentuale della popolazione italiana al di sopra dei 65 anni d’età aumenterà del 25%, ci dovremo attendere un proporzionale incremento dell’incidenza dell’osteoporosi. Nella popolazione italiana con oltre 50 anni d’età il numero di fratture di femore in un anno supera le 90.000. Alterazioni morfologiche vertebrali sono state riscontrate in oltre il 20% dei soggetti con oltre 65 anni d’età di entrambi i sessi. Le fratture osteoporotiche hanno importanti implicazioni sociali ed economiche oltre che sanitarie. I pazienti con frattura del femore prossimale presentano un tasso di mortalità del 15-30% entro un anno. Tra gli anziani le fratture osteoporotiche sono una delle maggiori cause di mortalità, la cui incidenza è sostanzialmente sovrapponibile a quella per ictus e carcinoma mammario e superiore di 4 volte a quella per carcinoma endometriale. Il 50% delle donne con frattura di femore presenta, inoltre, una consistente riduzione del livello di autosufficienza che, in circa il 20% dei casi, comporta l’istituzionalizzazione a lungo termine.
Vengono definite primitive le forme di osteoporosi che compaiono dopo la menopausa (postmenopausale) o comunque con l’avanzare dell’età (senile). Le osteoporosi secondarie sono quelle determinate da un ampio numero di patologie (artriti, malattie infiammatorie croniche intestinali) e farmaci (glucocorticoidi, blocco ormonale adiuvante in donne affette da carcinoma della mammella). Si stima che il 90% dei soggetti osteoporotici non ha mai ricevuto alcun tipo di diagnosi e che solo il 3% delle persone colpite da una frattura da fragilità ha ricevuto un test diagnostico. Alla luce delle recenti ricerche scientifiche e delle ultime linee guida pubblicate nel 2021, un’attenzione sempre crescente è volta verso la prevenzione e lo screening delle popolazioni a rischio attraverso metodiche diagnostiche sempre meno invasive e sempre più sensibili.
L’indagine densitometrica è raccomandata per le donne oltre i 65 anni e per i maschi oltre i 70 anni di età; a qualsiasi età in presenza di pregresse fratture da fragilità, di fattori di rischio maggiori per osteoporosi (uso di farmaci osteopenizzanti o malattie associate ad osteoporosi); nella donna in postmenopausa o nell’uomo di oltre 60 anni in presenza di fattori di rischio (menopausa prima dei 45 anni o periodi di amenorrea premenopausale >6 mesi, inadeguato introito di calcio o condizioni di rischio per ipovitaminosi D, periodi
prolungati di immobilizzazione, fumo, abuso di alcool, magrezza, familiarità).
La prevenzione dell’osteoporosi consiste nelle misure tese ad impedire o rallentare la comparsa della patologia. La prevenzione si attua innanzitutto mediante la correzione dei fattori di rischio. Interventi non farmacologici come la promozione dell’attività fisica (camminata per più di 30 minuti al giorno, magari all’aria aperta per l’effetto benefico sul rischio di caduta e per quello indiretto sui livelli di vitamina D), l’eliminazione di fattori di rischio modificabili (fumo, abuso di alcool, rischi ambientali di cadute) possono essere consigliati a tutti. Una dieta adeguata con giusto apporto di vitamina D, ma anche equilibrata con corretto apporto di calcio, proteine, carboidrati e lipidi può essere utile per ottimizzare il picco di massa ossea anche in età giovanile.
L’incidenza di ipovitaminosi D è diffusa in Italia, specie in età avanzata. Va ricordato che solo il 20% del fabbisogno di vitamina D deriva dall’alimentazione; la componente principale deriva dalla sintesi in seguito all’esposizione solare ai raggi UVB, peraltro sempre più inefficiente con l’avanzare dell’età. Ne consegue la frequente necessità di una supplementazione, specie in età senile. La supplementazione con vitamina D (colecalciferolo o ergocalciferolo ovvero D3 o D2), se associata ad un corretto introito di calcio, negli anziani si è rivelata utile persino in prevenzione primaria. Dunque la raccomandazione per i soggetti a rischio è quella di rivolgersi ai centri specializzati per la diagnosi e la cura di questa importante e spesso misconosciuta malattia.
Ilaria Covelli medico chirurgo specialista in Medicina fisica riabilitativa, dottore di ricerca in Scienze biomolecolari farmaceutiche e mediche, dirigente medico presso l’Ortopedia del Policlinico di Bari