La battaglia della famiglia di Francesca (nome di fantasia) che ha fatto ricorso dopo la bocciatura della studentessa con problemi di dislessia, ha colpito e non poco. “Le nostre scuole hanno tante carenze” – tuonano sui social. E non sbagliano. L’anno scolastico è iniziato con una importante carenza di insegnanti di sostegno con l’aggravante che la loro collocazione cambia annualmente creando non pochi disagi agli alunni in difficoltà. Ma quella di Francesca è una storia diversa.
“Tantissime le difficoltà riscontrate dalle famiglie è una storia che ben conosco – scrive un utente – le scuole fanno firmare il pdp ai genitori, ma raramente si preoccupano di metterlo in pratica, demandando al doposcuola o ai genitori il compito di fornire agli alunni, gli strumenti per apprendere e stare al passo con gli altri”.
Proprio così, il Piano didattico personalizzato completamente ignorato. Come nel caso di Francesca. La ragazza si sottopone alla visita da una psicoterapeuta cognitivo-comportamentale. La diagnosi è chiara: Francesca ha “difficoltà di memoria di lavoro e velocità di elaborazione statisticamente rilevanti. Rispetto agli apprendimenti si conferma deficit di velocità di lettura F81.0 Dislessia, di velocità di scrittura F81.1 e delle abilità aritmetiche F81.2. È possibile che la paziente impieghi più tempo nella memorizzazione e necessiti di tempo per la lettura, la scrittura e il calcolo. Si rilascia per gli usi consentiti dalla legge in materia di Piani individualizzati in ambito scolastico”. Ma il Pdp arriva due mesi dopo la comunicazione scritta, con tanto di certificazione della diagnosi. Un ampio lasso di tempo che ha di fatto compromesso quasi metà del secondo quadrimestre scolastico.
“Molto spesso la scuola non è preparata per accompagnare questi ragazzi nel loro percorso”, tuonano ancora. Ed è grave. E ancora: “Succede di tutto quando i bambini e ragazzi hanno bisogni speciali. Noi ne sappiamo qualcosa di cosa voglia dire consegnare una relazione neuropsicologica che viene completamente ignorata”.
“Bravi questi genitori – scrivono ancora – che si sono battuti fino alla fine e che il TAR abbia riconosciuto il tutto. Storie che spesso si ripetono e genitori che si arrendono difronte alle istituzioni perché più forti del singolo in difficoltà. Parlo per esperienza vissuta, ma nel frattempo mio figlio ha perso due anni (due volte il quarto superiore) poi costretto a cambiare scuola, nonostante documenti alla mano”. Due anni persi per qualcuno, ferite aperte per qualcun altro, giri a vuoto per altri ancora. Ammesso che siano famiglie in condizioni di compensare le carenze della scuola. Ma purtroppo, non è sempre così.