“Rinuncio alla qualità dei prodotti, evitando i marchi o i supermercati più noti, per ridurre i costi e arrivare con meno affanno a fine mese”. È il pensiero comune di molti cittadini baresi, tra cui mamme e papà, sempre più preoccupati per il caro prezzi che ha visto, dal post pandemia in poi, un incremento esponenziale dei costi del carrello della spesa.
Dalle uova, al caffè, sino a passare per il pane, il pesce, la carne e ancora i prodotti per la pulizia della casa: niente, ad oggi, è stato risparmiato da un balzo che, secondo i dati Istat, su base annua, già a settembre del 2022, ha toccato un incremento del +10,9%, valore tra i più alti registrati dall’agosto del 1983, quando fu pari a +11%. Livello record che, sommato al caro vita, tra bollette e quotidianità, spinge i cittadini a correrei ai ripari venendo meno a quelle che, per alcuni, sono abitudini ormai consolidate da anni, come la scelta “chirurgica” dei prodotti, che spesso vede tanti fidelizzati a marchi specifici. Molti, secondo quanto emerso da un sondaggio effettuato ad alcuni lettori, nel corso degli ultimi mesi, hanno rinunciato a frequentare “i soliti supermercati di marca” o le botteghe di quartiere e fruttivendoli per affacciarsi al mondo dei discount o dei marchi stranieri, preferendo cibo surgelato o confezionato a quello fresco “per risparmiare”.
“Non sempre se ne guadagna in qualità – ha sottolineato Roberta, mamma e lavoratrice – ma il risparmio è notevole. Ci sono alcune buone occasioni, come marchi noti a cui ormai sono fedele da anni che ormai si trovano anche nei discount o nei banchi dei grandi supermercati stranieri. Se un pacco di biscotti da un chilo da una parte lo trovi a quasi quattro euro, nei discount, in cui mai avrei pensato di metter piede, li trovi anche a uno o due euro in meno. Ho dovuto fare delle rinunce, cambiare marchio della pasta, di merendine per i piccoli. Ho dovuto anche preferire cibo surgelato o confezionato a quello fresco, ma è stato necessario limare in qualche modo. La situazione stava diventando insostenibile. Non che così non lo sia, ma almeno grava meno a fine mese” – ha concluso. Alle sue parole fanno eco quelle di un papà e lavoratore, Gianni.
“Otto euro e quaranta per trecento grammi di merluzzo surgelato, ecco quanto avrei dovuto pagare in cassa in uno dei supermercati a cui sono più affezionato da anni – ha raccontato – sinceramente mi sono rifiutato. Ho rimesso a posto, ho comprato l’essenziale e poi, dopo qualche giorno, in un altro supermercato, in cui sono presenti per lo più marchi stranieri, ho trovato 400 grammi di merluzzo a 3 euro e quaranta, forse di qualità del tutto diversa, ma almeno con un prezzo ragionevole. Un prezzo ancora normale se si considera che, fino a una settimana fa, in quel supermercato dove compravo spesso, il merluzzo surgelato andava a quasi 4 euro. Lo proverò, sicuramente sarà difficile abituarsi a sapori nuovi. Ti rendi conto che non tutto è davvero buono. Ma ci dobbiamo accontentare di mangiare peggio per poter pagare le bollette a fine mese e offrire ai figli una vita dignitosa, senza fargli fare rinunce, dopo due anni chiusi in casa, con stipendi che sono sempre gli stessi e servizi sempre pessimi” – ha concluso.
Non tutti però sono pronti a rinunciare alla qualità o, più nello specifico, alle proprie abitudini. “Sul cibo non si risparmia – ha raccontato Rosa, mamma e lavoratrice – l’unica cosa che è cambiata è che non vado più a fare la spesa come prima, ma colleziono volantini con le offerte per comprare solo quando mi conviene davvero. La dispensa non è sempre piena di tutte quelle cose a cui io e la mia famiglia siamo abituati, ma sappiamo che quando la riempiamo è perché abbiamo risparmiato qualcosina. Non ho mai fatto la spesa al discount e preferisco non farlo, sebbene ci siano prodotti di qualità, non posso essere certa della provenienza di carne e tante altre cose. Preferisco non rischiare” – ha concluso.
Ad oggi, secondo quanto emerso dalle diverse rilevazioni effettuate, ad aver subito un rincaro maggiore è l’olio di semi (+81% su base annua). Segue, subito dopo, la pasta di semola, aumentata di quasi un quarto, l’olio extravergine (che cresce in media dell’11%), ma anche il burro (+30%), il grana (+12%) e il caffè macinato che, assieme alle uova fresche, è aumentato del 12%. Rincari a cui, di fatto, non sfugge nessun prodotto alimentare che però vede in netta flessione i volumi di vendita, con cittadini sempre più parsimoniosi e attenti a bilanciare con cura i prodotti da inserire o meno nel carrello della spesa.
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