Gru in movimento, edifici che lentamente, e neanche troppo, vengono su. Bari sta cambiando. Nelle ex periferie e anche a ridosso del mare. Ma la nostra città è pronta a questo cambiamento? Per Eugenio Lombardi, architetto e profondo conoscitore della città, no. E non solo: per il tecnico la cementificazione in atto nel capoluogo pugliese, era assolutamente evitabile.
1) Gru in azione in buona parte della città, come sta cambiando Bari negli ultimi anni?
La nostra città sta progressivamente e drammaticamente perdendo la propria identità, questa la prima immediata riflessione. Bari non ha mai avuto capacità a tutelare e valorizzare la propria storia e i suoi abitanti ci mettono molto tempo per mettere a fuoco le conseguenze di quanto è sotto gli occhi di tutti. Si piange ancora. Così perdiamo per la scomparsa della storica sede della Gazzetta del Mezzogiorno, ma furono in pochissimi a cercare di impedirne l’abbattimento che avvenne nella notte di ferragosto del 1982: di notte e a ferragosto! Così come sono stati in pochissimi pochi anni fa a darmi aiuto nel tentativo di salvare lo straordinario e rarissimo villaggio neolitico a Palese, antico di oltre 10.000 anni e sostituito da dieci anonimi villini. Si piange dopo e non sempre, perché per molti costruire significa cancellare l’abbandono, il degrado, la dimenticanza: è una questione di assenza di sensibilità, di cultura, di quale valore la Storia abbia nel costruire non cemento ma prospettive di valorizzazione del paesaggio e di miglioramento della vita della comunità. Se mettiamo da parte Bari vecchia, la cui quotidianità è comunque messa in discussione dalla valanga di consumismo immediato che la sta stravolgendo, la città è sempre più appiattita sotto uno tsunami di cemento incolore, quando nella stessa città ottocentesca era il colore a farla da padrone con le tonalità cromatiche legate alla terra di Puglia. Il bianco e il grigio, insieme ai balconi ormai tutti vetrati, sono ora il paesaggio urbano barese, senza un minimo cenno di ricerca, sperimentazione, piacere degli occhi e dello spirito.
2) In questa logica di cementificazione, c’è un municipio che la preoccupa particolarmente?
Rifletto su quale sia il municipio che più sta risentendo dell’edificazione selvaggia. E uso questo termine a ragione, perché non c’è ragione di quanto sta accadendo: la popolazione decresce e i trasferimenti da un quartiere degradato ad una nuova periferia continuano ad essere l’elemento trainante dell’edilizia. Avremmo dovuto assistere ai risultati del termine usato e abusato negli ultimi anni: “rigenerazione urbana”, ma accade solo che suoli rimasti liberi o parzialmente occupati da piccola industria e baracche vengano colmati dal cemento. Ci pensa poi la moda del battezzare i nuovi palazzi con nomi di persone ed ecco che l’operazione viene nobilitata e si fa sentire l’utenza come in un palazzo nobiliare. E di questo ne sta risentendo l’intera città, perché grazie al “Piano Casa”, legiferato in Regione nel 2009 per essere solo una sollecitazione molto temporanea alla ripresa dell’edilizia e da allora rinnovato ben tredici volte sempre più estendendo la sua azione, è già stato edificato un milione e mezzo di metri cubi e almeno altri sei o sette sono previsti entro i prossimi cinque/sei anni.
Forse è l’area tra corso De Gasperi e via Amendola che più ne risentirà, considerato che via Amendola sta accogliendo volumi sempre più massicci ed elevati e via Fanelli, tra le due arterie menzionate, sta per essere investita dall’operazione “cittadella della Giustizia” nell’area delle vecchie casermette dismesse; un’area già oggi affogata di traffico veicolare a qualunque ora del giorno, mentre il solo annuncio dell’operazione infrastrutturale, che occuperà ingiustificatamente la grande area della lama Valenzano asservita nel Piano Regolatore Quaroni a verde di quartiere, ha scatenato l’interesse e l’entusiasmo dei costruttori che sono corsi ad occupare tutti i suoli rimasti liberi o, come nel caso dello scheletro di una incompiuta clinica privata e di quello di una casa di riposo, non completati. Quell’area verrà soffocata dall’aumento di circa 8.000 utenti al giorno e di una più o meno simile quantità di auto private, senza percorsi direttamente collegati alla tangenziale.
3) La sensazione, girando per la città di Bari, è che si cerchi di essere “green” ma solo a metà. Piste ciclabili interrotte e mal digerite dai residenti, verde poco e mal messo. Lei che ne pensa?
Bari è da sempre una città con azioni avviate, talvolta in gran numero, e poi lasciate a metà o realizzate male. Le piste ciclabili sono una evidenza, come lo è tutta la segnaletica orizzontale che dura un battito di ciglia. La narrazione istituzionale esalta piste ciclabili che sono una lontana espressione di quelle che da decenni riempiono tutte le città europee. Se poi aggiungiamo il vergognoso senso civico di cui dispongono molti baresi, si comprende come soluzioni quali le “piste” in corso Vittorio Emanuele o sul lungomare monumentali abbiano fallito da subito il loro compito, tra auto che neanche si accorgono della loro esistenza o lasciate parcheggiate su di esse per andare al bar di fronte.
Giorni fa scriveva il presidente ANCE della Bari-BAT che in fondo Bari non è mai stata una città verde, quasi a sentenziarne il destino. Eppure i dati parlano chiaro e sono sempre più drammatici: la città è agli ultimi posti in Italia per il verde pro capite, mentre le stagioni estive sono sempre più torride e il dilagato asfalto sta dando una impennata rischiosissima alle temperature e al benessere fisico; e nel contempo, anche da noi è aumentato il rischio di improvvise valanghe d’acqua non contrastate da un suolo impermeabilizzato e incapace di assorbirne una pur minima quantità. I “parchi”, quale quello nella ex Caserma Rossani, hanno una percentuale di copertura di cemento ben più elevata rispetto al verde, mentre nella realizzazione di nuove arterie e di rondò nelle aree più periferiche, alberi ad alto fusto che ne connotavano la storia sono sempre più frequentemente abbattuti e non sostituiti o realizzando al loro posto piantumazioni di alberi di pochissimi anni di età. E neanche l’area centrale, diversamente da quanto sta accadendo nella tanto richiamata Europa verso cui la nostra città tenderebbe, riceve un migliore trattamento, se pensiamo al grigio deserto in cui venne trasformata via Sparano.
Sarebbe sufficiente o almeno un segnale positivo imporre ai costruttori la realizzazione di vera alberatura nei metri quadri di suolo destinati a standard e ad essere trasferiti al Comune, almeno non assisteremmo alla messa a dimora di sporadiche piante sui balconi di appartamenti che spesso restano a lungo inabitati e quindi destinate a seccare in breve tempo. O a leggere sui cartelloni che pubblicizzano le realizzazioni edilizie frasi come “immerso nel verde”, senza che in seguito di quella immersione si intraveda null’altro che cemento.
4) Può una città crescere senza essere necessariamente cementificata? Qual è il migliore esempio in Italia o in Europa in questo senso?
Bari non avrebbe assolutamente bisogno di nuova cementificazione. Secondo l’ANCE saranno necessarie entro pochi anni nuove unità immobiliari per almeno 10.000 abitanti e questi dovrebbero essere stimolati a tornare a Bari dai centri vicini in cui anni fa si erano trasferiti per i costi di acquisto decisamente più bassi. Al momento i prezzi delle abitazioni a Bari sono altissimi, visto che la maggior parte dei costruttori li hanno gonfiati per poi proporre gli incentivi economici del sismabonus. Qualcuno avrà utilizzato una sfera di cristallo per avere la certezza di questa immigrazione, di cui al momento non si ha traccia. Ma aggiungo che ancora si è visto ben poco, perché a breve saranno realizzati diversi nuovi complessi dimensionati come interi quartieri: tra questi, sull’area delle ex acciaierie Scianatico sulla via Napoli, sull’area di corso Vittorio Veneto oggi utilizzata dal park&ride con un complesso di “boschi verticali” e nell’area di Torricella, nel V Municipio al confine con Palese e Santo Spirito.
Sconcerta che queste realizzazioni utilizzino parte delle normi cubature ancora presenti nel vecchio Piano Regolatore Quaroni, con il nuovo PUG che venne bloccato anni fa proprio nel momento in cui si cominciò a discutere delle cubature ancora esistenti sulla carta e che i costruttori pretendevano fossero confermate totalmente nel nuovo strumento urbanistico. Nel contempo, si assiste all’aberrazione di una narrazione istituzionale che presenta grandi progetti, quale il Parco Costa Sud o l’intervento di copertura con piastrone dei binari della stazione centrale, quali anticipazioni del nuovo Piano Urbanistico Generale, facendo finta di non sapere che il PUG ufficialmente non esiste, perché per esistere avrebbe dovuto essere approvato prima dal Consiglio comunale e poi da quello regionale ed infine essere adottato: come si può anticipare un piano urbanistico che non esiste? Cancellando i passaggi istituzionali obbligati?
Tra gli esempi virtuosi di una urbanistica che non mortifica il bisogno psicofisico di verde, anzi lo riconosce ed esalta, mi viene da pensare a Lubiana, capitale della Slovenia, che ha saputo promuovere uno straordinario connubio tra la tutela della propria identità storica e un forte miglioramento della presenza di verde pubblico specie nelle sue aree centrali. Ma sono certamente tutte le grandi capitali centro e nordeuropee che hanno saputo riconoscere e promuovere la qualità della vita indissolubilmente legata all’offerta di verde urbano, naturale e attrezzato. In Italia, piace ricordare città come Trieste, Bolzano, Udine.
5) Se dovesse immaginare Bari “domani” ed essere ottimista, cosa vedrebbe? E se volesse essere realista?
E’ la domanda più difficile. Sogno una Bari che sia capace di accorgersi dei propri valori ancora a disposizione e sappia tutelarli. La cui Amministrazione comunale riconosca l’importanza dell’ascolto della cittadinanza e faccia della partecipazione un indispensabile valore aggiunto e del decentramento amministrativo nei Municipi uno strumento intelligente per essere vicina agli abitanti fornendo loro le risposte di cui hanno davvero bisogno e nei giusti tempi. Sogno una città che investa enormemente nel verde pubblico vero, non delegando la risposta a tale esigenza ai privati portati, ovviamente, ad investire il meno possibile. Sogno un fortissimo investimento nel trasporto pubblico di qualità, che porti progressivamente ad abituarsi all’utilizzo del mezzo pubblico perché di quello privato si può scoprire di non averne bisogno. E che sappia quindi realizzare un sistema alternativo di trasporto, quale quello ciclabile, dopo che le condizioni della città lo avranno reso possibile. Realisticamente, al momento è un sogno.