Uomini e donne sono diversi. Anche nel modo di ammalarsi: diversi sono i sintomi e diverse le risposte ai farmaci che assumono. Ma non è tutto: a fare la differenza ci sono anche condizioni come l’età, etnie o altri fattori sociali economici e culturali. Da questo concetto nasce la medicina di genere, una nuova interpretazione della medicina tradizionale. “Nasce nel 1991 – precisa Annamaria Moretti, ex primario del reparto di pneumologia del Policlinico e neo presidente della Società internazionale di medicina di genere (in foto n basso – Una collega americana si accorse che le manifestazioni cliniche di infarto erano differenti tra uomo e donna: il dolore al braccio causato dall’infarto per esempio è caratteristica solo dell’uomo. La donna non ha gli stessi sintomi, ma ha dolori allo stomaco o piuttosto interscapolari”.
“Questo evento – spiega Moretti a Borderline24 – ha portato ad una non valutazione o ad una sottovalutazione dell’infarto nella donna. Quindi se quest’ultima si rivolgeva al medico accusando problemi allo stomaco veniva sottoposta alla gastroscopia. E non si pensava ad un possibile infarto. Di conseguenza, l’infarto negli anni è stato studiato nell’uomo e non nella donna. Quindi quest’ultima veniva sotto diagnosticata o diagnosticata più tardi e veniva trattata molto più tardivamente oppure addirittura non curata. Con delle conseguenze in termini di mortalità a sfavore della donna”.
“E’ cominciata quindi – spiega ancora – una revisione delle considerazioni di conoscenza in ambito medico: quindi se le differenze si riscontrano nell’infarto succede anche nello scompenso cardiaco, nella bronchite cronica o anche per esempio nel diabete. Quindi sono stati riconsiderati gli aspetti clinici delle malattie nell’uomo e nella donna. Succedeva lo stesso anche con gli studi che si facevano in laboratorio sui farmaci. Cioè lo studio degli antibiotici avveniva sull’uomo ignorando il metabolismo dell’antibiotico sulla donna”.
Ci sono tante evidenze delle differenze tra uomo e donna in ambito medico. “Per esempio il Covid – precisa la dottoressa – ha dato mortalità diversa nell’uomo e nella donna. Sono morti più uomini che donne. I due generi hanno avuto una malattia che si è protratta in maniera diversa, così come è stata differente la risposta ai vaccini. Ma ciò che è emerso in termini di mortalità – prosegue – è che anche il contesto economico e sociale ha la sua parte. Per esempio la mortalità da Covid è stata maggiore nella prima fase della pandemia in Lombardia per motivi di inquinamento atmosferico. Nelle fasi successive nelle diverse regioni, come in Puglia, la mortalità è stata legata ad altri parametri: come l’organizzazione sanitaria”.
Ma perché quindi le malattie venivano studiate solo sugli uomini? “E’ sicuramente un problema da un lato di facilità e dall’altro economico- commenta Moretti. Di facilità perché studiare l’uomo rispetto alla donna è più semplice. La donna ha varie fasi della vita: la pubertà, la gravidanza o la menopausa che possono influenzare il caso clinico. Dall’altro lato la donna costa molto di più alle aziende che sperimentano i farmaci: il campione maschile è sempre uguale rispetto ad un campione femminile, che ha una varietà di periodi – conclude – soprattutto ormonali e quindi di risposta ai farmaci”.
Ormai grazie alla legge Lorenzin del 2018 è diventato obbligatorio però lo studio clinico sia sulle donne che sugli uomini e questo ha consentito e continua a consentire di dare risposte immediate in ambito clinico e terapeutico.