Le aziende baresi a rischio usura sono quasi 3mila. Siamo al settimo posto su un campione di un centinaio di Comuni su tutto il territorio italiano. È quanto emerge da uno studio all’attenzione dalla Commissione Parlamentare antimafia. Alla base c’è un dato su tutti: si attende un 2022/2023 con non meno di 290mila immobili all’asta mentre la centrale Rischi della Banca d’Italia avverte che al 31 marzo 2022 sono oltre 145 mila le imprese italiane concretamente a rischio usura e che danno lavoro ad oltre 500 mila unità.
A queste devono aggiungersi le imprese a corto di liquidità per via del blocco delle cessioni del superbonus 110% con conseguenti milioni di posti di lavoro a rischio e una maggiore capacità di infiltrazione della criminalità organizzata. In altre parole, la crisi generata dalla pandemia, ha messo a dura prova le aziende. Anche quelle sane che oggi sono in difficoltà. Si tratta prevalentemente di imprese artigiane, esercenti o attività commerciali, piccoli imprenditori che sono “scivolati” nell’area dell’insolvenza e, conseguentemente, sono stati segnalati dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. Di fatto, questa “schedatura” preclude a queste attività di accedere a un nuovo prestito. Quindi si finisce nella zona oscura della necessità e di tutto ciò che poi ne consegue.
I destinatari di questa “schedatura” sono soggetti inizialmente solvibili e che per cause molte volte estranee alla loro volontà non sono stati in grado di onorare le loro obbligazioni e sono stati, così, segnalati alla Centrale Rischi che ne hanno sancito la “morte civile”. Ma c’è chi arriva dove serve: gli usurai. Conoscono i comparti in difficoltà e offrono una mano immediata. Denaro in tempi da record. E non tutti hanno il coraggio di dire no.
“La situazione era già difficile prima della pandemia – ha spiegato Attilio Simeone Consulente della Commissione Parlamentare Antimafia – Venivamo da una crisi generata nel 2008, poi aggravatasi nel 2011 fino ad arrivare alla crisi generata dalla pandemia e ora dalla guerra in Ucraina. Con la pandemia in particolare, la situazione è ulteriormente precipitata diventando drammatica: da decenni non assistevamo a cittadini disperati che vanno in questura o in prefettura a protestare perché impossibilitati a sfamare la propria famiglia. La situazione dei crediti deteriorati (c.d. NPL) per famiglie ed imprese è pericolosissima. La BCE stima in 1400 miliardi di euro – prosegue – la loro entità che rischia di trasformarsi in una ecatombe giudiziaria per i debitori il cui patrimonio potrebbe finire disperso nelle aste giudiziarie”.
Per gli imprenditori, che rappresentavano la parte sana e produttiva del paese, il discorso è moto simile: “Un triste primato – spiega Simeone – resta alle aziende del sud Italia che sono a maggiore rischio di usura e quindi ad essere facili prede della criminalità organizzata. Esse sono ben 50.751 in sofferenza con un 34,8% sul totale. Ciò comporta enormi ripercussioni”. Ripercussioni che – spiega il Consulente Antimafia – riguardano l’affidabilità del sistema produttivo rispetto ai criteri di accesso al credito legale e il proliferare del lavoro “nero” a discapito di quello regolamentato. E tanto altro. La commissione antimafia che ha fatto luce su questa drammatica situazione sta procedendo per cercare soluzioni a stretto giro che aiutino il Parlamento a fermare l’emorragia delle aziende verso l’aspirale dell’usura.
“Serve – prosegue Simeone – come più volte chiesto, immaginare un nuovo rapporto con le banche. Non solo, è necessario il potenziamento delle risorse a disposizione del ‘Fondo di prevenzione dell’usura’ ma è necessario anche un raccordo con la procedura di risoluzione della crisi d’impresa di cui le nuove regole sono entrate in vigore da qualche settimana. Strumenti, questi ultimi, in grado di costituire l’unico valido aiuto a chi si trova in questa situazione di vulnerabilità. È bene ricordare – sottolinea Simeone – che gli imprenditori molto spesso finiscono in questa blacklist della Banca d’Italia a causa dell’impossibilità da parte di molti piccoli imprenditori di riscuotere i pagamenti dai committenti o per essere caduti nel fallimento che ha coinvolto proprio questi ultimi. Non possiamo – conclude – lasciarli soli”.