Convalidato il fermo e disposta la custodia in carcere per omicidio volontario, nella forma omissiva aggravata da futili motivi, per Alessia Pifferi, la 37enne che per oltre sei giorni, ha lasciato la figlia di un anno e mezzo, Diana, a casa da sola, facendola morire di stenti. Lo ha deciso il gip di Milano, Fabrizio Felice.
Esclusa, da parte del giudice, l’aggravante della premeditazione contestata dalla procura, qualificando l’omicidio volontario nell’ipotesi dell’omissione. La donna, secondo quanto emerso, non ha avuto scrupoli nel lasciare la piccola nell’abitazione pur consapevole che sarebbe potuta morire di stenti. Tra le esigenze cautelari contestate c’è inoltre il pericolo di reiterazione del reato, perché la donna è ritenuta una persona pericolosa.
“Io ci contavo sulla possibilità di avere un futuro con lui – ha dichiarato la donna interrogata dal gip Fabrizio Felice riferendosi al compagno – e infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire. Per questo ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire. La mamma pertanto, secondo il pm, non si è limitata a prevedere e accettare il rischio che la piccola morisse, ma “pur non perseguendolo come suo scopo finale, alternativamente, lo ha voluto”. È quanto emerso da varie dichiarazioni, tra queste anche quelle con riferimenti in merito alla paura e all’orgoglio di non chiedere aiuto alla sorella che “avrebbe potuto in qualsiasi momento andare nel suo appartamento a soccorrere la figlia”.
Secondo i primi accertamenti effettuati in attesa dell’autopsia, la piccola Diana sarebbe morta “per stenti e per mancanza del necessario accudimento”. La donna, durante l’interrogatorio nella notte tra mercoledì e giovedì non ha mai pianto nè perso il controllo dimostrando lucidità nella ricostruzione dei fatti. “Sapevo che poteva andare così”, avrebbe detto dinanzi ai pm. Quello della donna, secondo gli inquirenti, è stato pertanto un comportamento non dettato da una situazione di degrado o di tossicodipendenza, ma da una volontà, emersa in modo intermittente anche nell’interrogatorio, “di far finta di non aver mai dato alla luce quella bambina, che sarebbe stata il frutto di una relazione clandestina”.
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