“Oggi il nostro lavoro non è più come quello di una volta, con il caro gasolio si è costretti a valutare con parsimonia se uscire o meno in mare. Spesso non ne vale la pena, hanno fatto morire il nostro settore”. È il racconto disperato di Antonio (nome di fantasia, in quanto preferisce restare anonimo), pescatore 38enne Barese, che ormai da 12 anni, quasi ogni giorno, parte dal porto di Santo Spirito per andare in mare e assicurare un pasto caldo alla sua famiglia.
Dal caro carburante alla flotta vetusta, sino alla costante sensazione di essere dimenticati dal Governo, tranne quando, sottolinea “si tratta di dover loro dei soldi”, ma non solo. Anche le giornate passate in mare, lontano dalla propria famiglia e dai propri figli che nel frattempo crescono, mentre si fa sempre più spazio la certezza che presto bisognerà reinventarsi per non rischiare di restare senza stipendio, ma Antonio non demorde: la sua è una passione che gli è stata tramandata in famiglia, da suo nonno, in particolare. “Per fare questo lavoro devi avere passione – ha sottolineato – devi amare il mare e la pesca. Nessuno che io conosca fa questo lavoro per campare. Io non sono un veterano come tanti, sapevo già che le cose sarebbero cambiate in peggio. A noi pescatori negli anni hanno tolto tutto. Con gli accordi fatti hanno favorito l’importazione e distrutto i produttori italiani, per non parlare poi delle demolizioni della flotta. Continuano a dire che c’è la metà del pescato dando la colpa alla situazione ambientale, la verità è che ci sono la metà dei pescatori in mare e continuerà a peggiorare. Le nuove generazioni non hanno voglia di fare questo mestiere, troppi rischi, per cosa? ” – ha sottolineato.
Fino a qualche anno fa, ha raccontato ancora Antonio, era più facile correre il rischio e scegliere di andare in mare con qualsiasi condizione meteorologica. Oggi, quel rischio va ponderato. “Il nostro è un lavoro usurante – ha precisato – il sale ti consuma le ossa, il mare ti usura il fisico. La vita è dura, vai avanti solo con la passione, quella ti fa chiudere gli occhi davanti a tutti gli ostacoli, accade tutte le volte che a mezzanotte al posto di dormire al fianco dei tuoi cari, ti fai una doccia e torni in mare. Oggi però ci pensiamo due volte, molte volte torniamo a casa a mani vuote. I costi sono diventati troppo alti. Prima una barca di dimensioni medie portava a casa circa 5mila euro al mese, oggi tiriamo a campare. Non ci sto più a lavorare 15 ore al giorno a queste condizioni” – ha aggiunto.
Oggi, con l’aumento del prezzo del gasolio, in molti scelgono di guardare le richieste, ponderando le uscite basandosi sulla possibilità di poter guadagnare o meno, il venerdì per esempio, molte flotte restano a terra. I costi, ha spiegato Antonio, oggi sono arrivati al 60% del guadagno lordo, ma non basta, perché quel 60% va spartito per coprire gli stipendi dei marinai, tasse, contributi. A questo va aggiunto il costo del gasolio: in 10 giorni se ne vanno via 500 litri. “Fino a due anni potevano farcela, il costo era di 50-60 centesimi, oggi con 1,40 al litro spendiamo quasi 7mila euro per rifornire una barca media di 5mila litri. Non conviene più, siamo prossimi al fallimento. Ho un figlio di tre anni – ha aggiunto infine – spesso viene con me, ma non gli farei mai fare questo lavoro, vorrei che per lui restasse solo un hobby. Sono stato fortunato, durante i due anni di pandemia ho potuto godermelo di più, in tanti hanno il rimpianto di non vedere crescere i propri figli. Quello dei pescatori è un urlo di disperazione che finisce nel silenzio, non si può andare avanti così. Continuano ad imporci restrizioni senza risollevare il settore. Io? Vado avanti, ma sono pronto a cambiare mestiere, se necessario” – ha concluso.