E’ infinita la diatriba tra i ristoratori e i ragazzi in cerca di occupazione. I primi accusano i giovani di non voler lavorare, i secondi gridano allo “schiavismo”: sono pagati poco per i turni estenuanti ai quali sono sottoposti. Ci sono gestori che se ne approfittano pagando con stipendi da fame, così come ci sono anche lavoratori che preferiscono percepire il reddito di cittadinanza e magari hanno poca voglia di sottostare ai ritmi estenuanti tipica dell’attività di ristorazione. Molti non vogliono rinunciare al loro weekend libero.
Ci sono anche imprenditori che hanno rispetto non solo per il lavoratore, ma anche del lavoro in quanto “diritto”. E fanno del loro mestiere una passione, che portano avanti con rispetto dei loro collaboratori. “Credo che la qualità del lavoro sia un diritto assoluto – spiega lo chef Antonio Scalera. Credo che l’impegno del lavoratore e del datore di lavoro siano concetti inviolabili. Per questo ho sempre voluto che questi concetti fossero rispettati”.
E precisa: “Lavoriamo solo la sera, abbiamo due giorni di riposo settimanali, abbiamo orari flessibili a seconda delle esigenze aziendali. Cerchiamo di lavorare sempre con qualità, profitto e anche divertimento. Gli stipendi e i contratti (sempre garantiti) vengono valutati in base all’esperienza, alla dedizione e alla passione. Le diatribe sul lavoro in sala e cucina non ci interessano. Noi qui lavoriamo così da 13 anni!”. E conclude: “Il mio ristorante cerca personale di sale e cucina”.
Per un altro chef, Giuseppe Galena, “la ristorazione è una scienza perfetta”. “C’è – spiega – una cattiva gestione dei ristoranti, poca formazione del titolare, troppi soci (alcune volte non del settore). Si inserisce il personale con poca esperienza per pagarlo di meno. Non diamo – conclude – solo la colpa al reddito di cittadinanza e al Covid”.