Oltre due anni di pandemia hanno lasciato cicatrici evidenti, e in taluni casi indelebili, in Italia. A pagare il tributo più alto sono stati come sempre i più vulnerabili, a cominciare da bambini e adolescenti. È preoccupante il quadro che emerge dall’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia curato da Fondazione Cesvi, che nell’edizione di quest’anno dedica un focus particolare all’impatto che la pandemia ha prodotto sulla sicurezza dei più piccoli.
La Puglia insieme a Calabria, Sicilia e Campania, è tra le regioni italiane più esposta al maltrattamento all’infanzia, sia in relazione ai fattori di rischio presenti sul territorio regionale sia in relazione ai servizi di prevenzione e contrasto al fenomeno.
“La pandemia ha aumentato in modo drammatico tutti i fattori di rischio che sono alla base del maltrattamento all’infanzia, agendo in molti casi da detonatore in situazioni di disagio pregresso: povertà e disoccupazione, deterioramento della salute mentale, isolamento e contrazione delle relazioni sociali”, spiega Gloria Zavatta, presidente della Fondazione.
Presentato oggi in occasione di un incontro online moderato da Cristina Parodi, ambasciatrice della Fondazione, con la partecipazione della ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, l’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia – redatto dalle ricercatrici Giovanna Badalassi e Federica Gentile – analizza la vulnerabilità dei bambini nelle singole regioni italiane, attraverso l’analisi dei fattori di rischio presenti sul territorio e della capacità delle amministrazioni locali di prevenire e contrastare il fenomeno tramite i servizi offerti. Il risultato è una graduatoria basata su 64 indicatori classificati rispetto a sei diverse capacità che rappresentano la struttura portante dell’Indice: capacità di cura di sé e degli altri, di vivere una vita sana, di vivere una vita sicura, di acquisire conoscenza e sapere, di lavorare e di accesso a risorse e servizi.
Il maltrattamento all’infanzia rimane un problema particolarmente grave e pervasivo in seno alla società che produce conseguenze drammatiche sulla salute dei maltrattati nel breve e nel lungo termine, sul loro equilibrio psico-fisico e, più in generale, su tutta la comunità. Gli ex bambini maltrattati diventano adulti che vivono con un pesante fardello di dolore che spesso scaricano sui propri figli, generando un circuito vizioso di trasmissione intergenerazionale, che solo un intervento esterno può interrompere. La violenza contro i minori è quindi un fenomeno sistemico che non può essere ricondotto esclusivamente a dinamiche relazionali familiari ma che rappresenta un grave problema di salute pubblica, prima, durante e dopo la pandemia e che richiede un approccio globale.
Il boom di accessi nei pronto soccorso per disturbi neuropsichiatrici è il segno più tangibile di un malessere diffuso. Basti pensare che solo nel primo anno di pandemia, la Società italiana di pediatria ha registrato un incremento degli ingressi di oltre l’80%. Ideazione suicidaria, depressione e disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia) le cause principali. Un deterioramento dello stato di salute, in particolare tra gli adolescenti, certificato dall’Istat: nel secondo anno di pandemia, l’indice di salute mentale cala decisamente nella fascia 14-19 anni, mentre raddoppia il numero degli adolescenti che si dichiarano insoddisfatti.
Una tendenza confermata anche dall’aumento dei reati perpetrati su bambini e adolescenti durante la pandemia. Secondo i dati della polizia criminale, i maltrattamenti contro familiari e conviventi minori registrano un più 11% nel 2020. Nel primo anno di lockdown crescono in modo esponenziale anche i reati di pedopornografia e adescamento online (+77%).
In aumento anche la violenza sulle donne. I dati raccolti dal numero antiviolenza e stalking evidenziano un forte incremento delle chiamate durante la prima fase del lockdown. Il luogo dove più frequentemente si consuma la violenza è la casa della vittima. All’aumento delle segnalazioni non è corrisposta tuttavia una crescita delle denunce. Le forze di polizia hanno registrato un forte calo delle denunce per maltrattamenti, stalking e violenza sessuale, conseguenza diretta del confinamento in casa e dunque del maggior controllo esercitato dal partner convivente.
La violenza che si consuma nel chiuso delle mura domestiche può tradursi in violenza assistita dai minori. Secondo le stime dell’Istat, circa il 50% dei figli assiste alla violenza, mentre il 10% la subisce.
L‘indice fornisce anche quest’anno l’immagine di un’Italia a due velocità: si conferma l’elevata criticità del Sud Italia che resta al di sotto della media nazionale pur registrando timidi miglioramenti. Le ultime quattro posizioni dell’Indice sono occupate, come nell’edizione precedente, da Campania (20°) Sicilia (19°), Calabria (18°) e Puglia (17°). I piccoli progressi osservati in qualche indicatore o capacità non hanno ancora raggiunto una portata tale da variare la loro situazione complessiva. Le regioni presentano, infatti, importanti criticità complessive di sistema, sottolineando così l’urgenza di piani di intervento strutturali di medio-lungo termine che agiscano contemporaneamente sia sui fattori di rischio che sul complesso del sistema dei servizi.
In questa quinta edizione l’Emilia-Romagna torna a essere la regione con la migliore capacità di fronteggiare il maltrattamento ai minori, in una sintesi finale tra fattori di rischio e servizi (solo nel 2021 ha ceduto il primato al Trentino-Alto Adige). Seguono Trentino-Alto Adige (2°), Veneto (3°), Friuli-Venezia Giulia (4°), Toscana (5°) e Liguria (6°), che si confermano tra le prime posizioni.
Quest’anno sono otto le regioni “a elevata criticità”, ovvero quei territori nei quali, a fronte di elevate problematiche ambientali, rappresentate da fattori di rischio elevati, non corrisponde una reazione del sistema dei servizi: Campania, Sicilia, Calabria, Puglia, Molise, Basilicata, Abruzzo e Marche. Tra le regioni “virtuose” – con bassi fattori di rischio e un buon livello di servizi sul territorio – troviamo otto delle nove regioni già presenti nell’edizione 2021 dell’Indice: Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana, Valle d’Aosta, Umbria. Il Piemonte, inserito lo scorso anno tra le regioni “virtuose”, quest’anno entra, insieme alla Sardegna, nel cluster delle regioni “reattive”, ovvero che rispondono alle elevate criticità nei fattori di rischio con servizi al di sopra della media nazionale. Tra le regioni “stabili” si trovano il Lazio e, come ogni anno, la Lombardia.
La Puglia, stabile rispetto al 2021 e al di sotto della media nazionale, occupa la 17esima posizione dell’Indice seguita da Calabria (18°), Sicilia (19°) e Campania (20°). In particolare, la Puglia registra un peggioramento rispetto allo scorso anno in relazione alla capacità di vivere una vita sicura (dall’15° al 16° posto); migliora invece la capacità di vivere una vita sana (dal 16° al 15° posto). Stabili la capacità la capacità di acquisire conoscenza e sapere (17°), la capacità lavorare (14°) e di accedere a risorse (16°) e nella capacità di cura (17°). La Puglia, in linea con lo scorso anno, si conferma, quindi, una regione a “elevata criticità” che combina una situazione territoriale particolarmente difficile sia per i fattori di rischio che per l’offerta di servizi.
Cesvi ha attivato in Puglia e, in particolare, a Bari una serie di attività mirate a prevenire e contrastare i fenomeni di trascuratezza e maltrattamento all’infanzia, in collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II. Sono stati creati laboratori ludico-creativi negli asili nidi e nelle scuole materne ed è stato messo a disposizione di alunni, insegnanti e genitori uno sportello di supporto psicologico. Sono stati inoltre avviati percorsi di formazione specifica sulla figura del “Tutore di resilienza” che trasmettono agli operatori strumenti, metodi e principi d’azione resilience-focused da impiegare nella pianificazione e nella conduzione delle proprie azioni al fine di ridurre il rischio e rafforzare le risorse degli utenti.
È evidente come la pandemia abbia messo sotto pressione servizi sul territorio già carenti, rendendo non più procrastinabile un piano di interventi strutturale. Intervenire proattivamente per rinforzare la resilienza di persone e famiglie, curare e formare i curanti è quindi sempre più urgente, così come investire in un capitale sociale sempre più solidale e includente. In quest’ottica si potranno modificare in modo strutturale i comportamenti umani e promuovere politiche specifiche e mirate a cogliere le ricadute indirette sul maltrattamento all’infanzia.
“Ribadiamo la necessità di azioni sistemiche e di medio-lungo periodo per le politiche di prevenzione e contrasto al maltrattamento. È fondamentale agire tanto sui fattori di rischio quanto sul complesso del sistema dei servizi per adeguarli e potenziarli. Ci appelliamo all’istituzione affinché investano subito risorse su sanità, scuola e giustizia. In particolare, sottolineiamo la necessità di disporre di dati più puntuali sull’entità del maltrattamento all’infanzia in Italia e di ridurre il divario sociale ed economico delle regioni del Mezzogiorno tramite l’attuazione pratica dei Liveas (Livelli Essenziali di Assistenza Socioassistenziale). Se non interveniamo oggi, il costo sociosanitario per le prossime generazioni sarà insostenibile”, aggiunge Zavatta.