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Ospedale Santa Maria, medico barese reinventa tecnica per intervento salvavita al cuore

Pubblicato da: redazione | Mar, 22 Marzo 2022 - 18:35
ospedale santa maria

Nuovo risultato raggiunto dall’ospedale Santa Maria di Bari e riconosciuto dalla pubblicazione sulla rivista della società europea di cardiologia European Heart Journal. Due casi estremamente complessi risolti presso l’ospedale barese dall’équipe di Emodinamica e Cardiologia Interventistica guidata dal dottore Alfredo Marchese.

La pubblicazione descrive l’innovativo approccio interventistico studiato dall’Heart Team della struttura, composto da un’équipe di cardiologi interventisti, emodinamisti, cardiochirurghi, cardioanestesisti e perfusionisti, per trattare due anziani candidati alla sostituzione della valvola aortica (con una procedura mininvasiva di TAVI) ma con un quadro clinico, coronarico e ventricolare, particolarmente complesso.

I pazienti, due uomini di 78 e 79 anni, presentavano infatti una stenosi aortica severa, quindi un restringimento del giunto aortico, e una grave malattia coronarica del tronco comune e dei principali vasi prossimali non soltanto severamente stenotici ma anche gravemente calcifici, che aumentavano il rischio “operatorio” della TAVI e andavano quindi risolte prima di procedere con la sostituzione della valvola.

L’analisi ha evidenziato un quadro clinico molto simile tra i due pazienti, mediante gli esami preparatori e lo studio delle tempistiche, l’Heart Team ha ideato un approccio multidisciplinare, combinando procedure e tecnologie già impiegate ma mai in maniera congiunta finora.

“L’approccio mininvasivo utilizzato, le procedure di cardiologia interventistica e il coinvolgimento dell’Heart Team, non solo in fase decisionale ma anche all’atto pratico, ci hanno permesso di portare a termine interventi molto complessi su pazienti spesso molto anziani con comorbidità – commenta il dottore Marchese –. Come nei due casi descritti, considerati ad altissimo rischio cardiochirurgico. Assistiamo così oggigiorno ad una riduzione del rischio operatorio per quei pazienti complessi che spesso hanno complicanze o lungodegenze e abbiamo l’opportunità di trattare anziani con comorbidità che altrimenti non sarebbero operabili”.

A distanza di oltre 8 mesi dagli interventi i pazienti stanno bene e continuano a sottoporsi ai regolari follow up previsti.

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