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Puglia, prezzi di mais e mangimi alle stelle: “A rischio 9mila allevamenti”

Pubblicato da: redazione | Gio, 10 Marzo 2022 - 15:00

Il costo del mais è passato da 35 a 60 euro in soli tre giorni, mentre per i mangimi ci sono rialzi fino al 100%. A lanciare l’allarme Cia Puglia, secondo la quale se non si trova una soluzione immediata non è escluso il rischio chiusura per 9mila allevamenti pugliesi.

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“Saremo costretti a chiudere e a portare gli animali al macello” – ha raccontato in particolare Angelo Milano, allevatore di Lucera, nel Foggiano, e associato CIA Agricoltori della Puglia-  i costi sono diventati una follia, è in atto una speculazione feroce. A queste condizioni, le stalle dovranno chiudere e il bestiame portato al macello prima che deperisca per mancanza di nutrimento”. Nei prossimi giorni, la crisi potrebbe avere conseguenze anche sulla produzione del latte Intanto scoppia la guerra del grano, prezzo del duro insufficiente per costi di produzione e investimenti

Milano, espone un caso esemplare e drammatico di ciò che sta accadendo in tutta la regione. La situazione non era tanto diversa anche prima che scoppiasse la guerra, ma adesso, sottolinea, sta raggiungendo un punto di non ritorno. Gli allevatori di Bari, Taranto, Lecce, Brindisi, Foggia, come quelli della BAT, si trovano in una condizione di drammatica difficoltà, posti di fronte al dilemma se chiudere o indebitarsi fino al collo per sostenere gli allevamenti. I danni, hanno sottolineato dalla Cia, sarebbero incalcolabili, con effetti irreversibili nella maggior parte dei casi. Il farinaccio, altro prodotto utilizzato dagli allevatori, è salito da 12 a 30 euro in pochi giorni. Stessa cosa per i mix di mangimi all’interno dei quali sono utilizzati, ad esempio, il favino e il pisello proteico. L’aumento dei costi per questi prodotti, così come quello degli integratori alimentari per il bestiame, sta registrando incrementi che arrivano anche al 100%.

A rischio collasso c’è l’intero comparto lattiero-caseario pugliese che conta oltre 2mila aziende con vacche e bufale, circa 3mila imprese con ovini e caprini da latte. In questo particolare settore, la maggioranza delle imprese si concentra nelle province di Bari e Taranto. Nel Foggiano e nel Barese si concentra la maggiore presenza di allevamenti ovicaprini. Il numero di capi allevati si attesta attorno ai 70mila bovini e bufalini, mentre registra oltre 300mila ovicaprini. Complessivamente, dunque, il rischio di non avere più le risorse necessarie a sfamare gli animali riguarda circa 370mila capi, considerando soltanto bovini, bufalini e ovicaprini.

In poche settimane, gli effetti devastanti della crisi che colpisce gli allevatori si riverseranno anche sulle circa 200 unità di trasformazione e raccolta del latte in tutta la Puglia. Il latte raccolto a livello regionale è stato destinato alla trasformazione industriale di prodotti lattiero-caseari e recentemente ha portato all’ottenimento di oltre 108.000 tonnellate di latte alimentare (pari al 4% del totale nazionale), a poco più di 1.000 tonnellate di burro e a quasi 40.000 tonnellate di formaggi, per la gran parte attinenti la categoria “freschi”. Il settore zootecnico regionale, considerato nel suo complesso, si compone di poco più di 9.000 allevamenti.

A peggiorare una situazione già drammatica, a Foggia, c’è anche quella che alcuni definiscono come “la guerra del grano”. Lo scorso mercoledì 9 marzo, alla Borsa Merci della Camera di Commercio di Foggia i produttori hanno avuto la peggio. Avevano chiesto un aumento del prezzo del grano duro di 15 euro a tonnellata, per poter rientrare almeno in parte dal vertiginoso aumento dei concimi (il costo dell’urea è arrivato a oltre 150 euro al quintale). In commissione, una volta arrivati a votare, le due proposte di prezzo – l’una della parte industriale, l’altra dei produttori – hanno ottenuto lo stesso numero di voti. A quel punto, però, sottolinea ancora a Cia, invece di cercare una mediazione, il presidente (e industriale) Nicola Sacco ha fatto valere la regola secondo cui il suo voto vale doppio.

“In questo modo l’aumento concordato è stato di soli 5 euro alla tonnellata, con una distanza marcata dai 15 euro richiesti dai produttori con l’inevitabile conseguenza del blocco degli investimenti e dei produttori di grano che, sottolinea Silvana Roberto, vicepresidente CIA Capitanata e membro della Commissione Unica Nazionale sul grano “non riusciranno a rientrare almeno in parte dall’aumento folle di tutti i costi di produzione”.

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