L’emergenza smog in Italia resta un problema cronico, ma la situazione della Puglia (rispetto al contesto nazionale) è meno grave rispetto ai capoluoghi del Nord Italia, dove i valori dei principali inquinanti sono nettamente superiori rispetto al resto del Paese. E’ quanto emerge dal nuovo report di Legambiente “Mal’aria di città. Quanto manca alle città italiane per diventare clean cities”, realizzato nell’ambito della campagna Clean Cities.
Si tratta, in particolare, di un bilancio sulla qualità dell’aria in città confrontando i valori medi annuali, rilevati nelle 238 centraline per il monitoraggio dell’aria di 102 città capoluogo di provincia, di PM10, PM2.5 e NO2 con i parametri suggeriti dall’OMS. Nel complesso, il quadro che emerge è preoccupante con un 2021 nel segno del bollino nero per la qualità dell’aria: pochissime sono infatti le città che rispettano i valori suggeriti dall’Oms per il PM10 (Caltanissetta, La Spezia, L’aquila, Nuoro e Verbania) e il biossido di azoto (Agrigento, Enna, Grosseto, Ragusa e Trapani), nessuna per il PM2.5.
Su 102 capoluoghi di provincia analizzati, nessuno, nel dettaglio, è riuscito a rispettare tutti e tre i valori limite suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ossia una media annuale di 15 microgrammi per metro cubo (μg/mc) per il PM10, una media di 5 μg/mc per il PM2.5 e 10 μg/mc per l’NO2. In Puglia la situazione è meno grave, ma non del tutto positiva rispetto ad altre realtà. Entrando più nel dettaglio, per il PM10 maglia nera pugliese è Barletta con una media di 25 μg/mc con una riduzione necessaria del 40%. Per il PM2.5, a pari merito, le peggiori sono Andria, Bari e Barletta con 13 μg/mc e una riduzione necessaria del 62%. Per il N02, infine, è Taranto la “peggiore” con 25 μg/mc e una riduzione necessaria del 60%.
A Bari, nello specifico, i valori di PM10 sono di 22 μg/mc, quelli di PM2.5 sono di 13 μg/mc, mentre quelli di NO2 sono di 21 μg/mc. Rispettivamente, secondo le indicazioni dell’Oms la riduzione delle concentrazioni, necessarie per ritornare ai valori massimi stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità stessa, dovrebbero essere del 31% per il PM10, del 62% per il PM2.5 e del 52% per l’NO2. A Barletta, invece, sono stati rilevati 25 μg/mc di PM10, 13 μg/mc di PM2.5 e 18 μg/mc di NO2, per una richiesta di riduzione, rispettivamente del 40%, 62% e 44%. A Brindisi, poi, sono stati rilevati una media di 19 μg/mc di PM10 e 12 μg/mc di PM2.5 e servirebbe una riduzione, rispettivamente, del 21% e del 57%. Non è stato invece rilevare le concentrazioni di NO2.
Per quanto riguarda Andria i dati hanno rilevato un valore medio di 23 μg/mc di PM10, 13 μg/mc di PM2.5 e 21 μg/mc di NO2, per una richiesta di riduzione, rispettivamente, del 35%, 62% e 52%. A Foggia i valori medi del PM10 sono stati di 21 μg/mc, di PM2.5 12 μg/mc e di NO2 di 21 μg/mc per una necessaria riduzione, rispettivamente, del 29%, 58% e 52%. A Lecce, poi, la concentrazione media di PM10 è stata di 21 μg/mc e di 11 μg/mc di PM2.5 11 e dunque la riduzione dovrebbe essere, rispettivamente, del 27% e del 56%. Non rilevata la concentrazione di NO2. A Taranto, infine, i valori medi in un anno sono stati di 21 μg/mc di PM10, 11 μg/mc di PM2.5 e 25 μg/mc di NO2, per una richiesta di riduzione, rispettivamente del 27%, 55% e 60%.
“Le città pugliesi – ha dichiarato Ruggero Ronzulli, presidente di Legambiente Puglia – sono chiamate ad affrontare la problematica dell’inquinamento atmosferico in maniera trasversale e integrata con azioni efficaci, incisive e durature con misure integrate messe in campo dal governo nazionale, da quelli regionali e comunali. Il dato pugliese ci dimostra come le città maggiormente penalizzate sono quelle in cui la mobilità e le aree industriali sono i fattori che incidono negativamente sulla qualità atmosferica e sanitaria. Per questi motivi, da qui ai prossimi anni, per accelerare la transizione ecologica sarà centrale adottare misure che puntino davvero ad una nuova visione di città e centro urbano, incentrando la pianificazione sulla mobilità sostenibile, elettrica, intermodale, di condivisione ripensando anche gli spazi urbani. Sarà inoltre rilevante puntare anche sull’efficientamento energetico e bloccare la commercializzazione dei veicoli a combustione interna al 2030” – ha concluso.
Di fronte a questa fotografia, Legambiente è tornata dunque a ribadire l’urgenza di ripensare e ridisegnare in prima battuta le aree metropolitane, gli spazi pubblici urbani e la mobilità sostenibile, sempre più intermodale, in condivisione ed elettrica. Ragion per cui, a partire da oggi, sino ai primi di marzo prenderà il via anche la seconda edizione della Campagna Clean Cities che dal 3 marzo al 3 febbraio toccherà 17 capoluoghi italiani.
Si partirà il 3 e il 4 febbraio da Milano per poi proseguire lungo la Penisola – Vicenza (6 e 7 febbraio), Napoli (8 e 9 febbraio), Avellino (10 febbraio), Lodi (11 febbraio), Firenze (13 e 14 febbraio), Padova (15 febbraio), Bologna (16-17 febbraio), Bari (18-19 febbraio), Perugia (19-20 febbraio), Catania (21 febbraio), Palermo (22 febbraio), Roma (23, 24 febbraio), Cagliari (25 e 26 febbraio), Pescara (26 e 27 febbraio), Genova (28 febbraio, 1 marzo) – e concludere il viaggio a Torino il 2 e 3 marzo. Tra le proposte mosse da Legambiente, di fronte al quadro emerso e agli obiettivi da raggiungere, oltre all’importanza di ridisegnare lo spazio pubblico urbano a misura d’uomo (con quartieri car free, “città dei 15 minuti” in cui tutto ciò che serve sta a pochi minuti a piedi da dove si abita, strade a 30 km all’ora, strade scolastiche, smart city), occorre anche aumentare il trasporto pubblico elettrico con 15.000 nuovi autobus per il TPL (rifinanziando il Piano Nazionale Strategico della Mobilità Sostenibile a favore di soli autobus a zero emissioni), ma non solo.
Secondo Legambiente sono necessarie nuove reti tranviarie per 150 km (o filobus rapid transit); cura del ferro (500 nuovi treni e adeguamento della rete regionale con completamento dell’elettrificazione). Incentivare la sharing mobility anche nelle periferie e nei centri minori, realizzare 5.000 km di ciclovie e corsie ciclabili, rendere l’80% delle strade condivise tra cicli e veicoli a motore. Inoltre, vietare la commercializzazione dei veicoli a combustione interna al 2030 (al 2035 per camion e autobus interurbani prevedendo una strategia per il biometano liquido per l’autotrazione) e prevedere lo stop agli incentivi per la sostituzione dei mezzi più vecchi e inquinanti a favore di mezzi più nuovi ma ugualmente inquinanti.
Sul fronte del riscaldamento domestico, infine, secondo Legambiente, serve un piano di riqualificazione energetica dell’edilizia pubblica, con abitazioni ad emissioni zero grazie alla capillare diffusione di misure strutturali come il “Bonus 110%” e che favorisca il progressivo abbandono delle caldaie a gasolio e carbone da subito, e a metano nei prossimi anni verso sistemi più efficienti alimentati da fonti rinnovabili (es. pompe di calore elettriche). Tutte queste motivazioni, legate alle proposte, hanno portato infine Legambiente a lanciare la petizione “Ci siamo rotti i polmoni. No allo smog”. Obiettivo, chiedere al Governo risposte urgenti nella lotta allo smog, a partire dagli interventi sulla mobilità e l’uso dello spazio pubblico e della strada.
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