Attraverso la “prevenzione genetica”, è possibile identificare i soggetti portatori della mutazione nei geni BRCA1 e BRCA2 che presentano un significativo incremento del rischio di sviluppare neoplasie della mammella (30-60%) e dell’ovaio (18-45%), in modo da intraprendere subito procedure di prevenzione più efficaci e iter terapeutici personalizzati, aumentando la possibilità di sopravvivenza delle pazienti.
Sono i risultati dello studio, coordinato dalla professoressa Nicoletta Resta, direttore dell’unità operativa di Genetica medica del Policlinico di Bari e del Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana dell’Università degli Studi di Bari appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “Cancers” (https://www.mdpi.com/2072-6694/14/2/365/pdf). La notizia arriva in occasione della Giornata mondiale contro il cancro.
Il carcinoma ovarico è una neoplasia rara ma estremamente aggressiva, tanto da rappresentare la prima causa di morte per tumore ginecologico. Secondo quanto riportato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e da AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), si stimano circa 5000 nuovi casi ogni anno in Italia e 300 in Puglia. I sintomi sono spesso subdoli e aspecifici e per tale motivo nella maggior parte dei casi la diagnosi è tardiva. Ad oggi la sopravvivenza globale a 5 anni dalla diagnosi è pari a circa il 40%.
Un importante fattore di rischio è rappresentato dalla presenza di mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2, rilevate nel 25% circa dei tumori maligni dell’ovaio. La ricerca di mutazioni nei due geni principali è oggi fortemente raccomandata a tutte le donne che ricevono una diagnosi di carcinoma dell’ovaio. Tuttavia, i geni BRCA1 e BRCA2 non sono gli unici responsabili, in quanto mutazioni in altri geni correlati funzionalmente ai due più noti (BRIP, BARD, TP53, ATM etc) possono esserne la causa.
La rilevazione di mutazioni in tali geni costituisce il principale presupposto per quella che si può definire “prevenzione genetica” delle neoplasie ovariche. Infatti, l’identificazione dei soggetti portatori di mutazione consente la esecuzione di procedure di “sorveglianza attiva” (visita ginecologica, ecografia transvaginale, dosaggio marcatore ca-125) e di chirurgia profilattica (asportazione preventiva delle ovaie al termine del periodo riproduttivo della donna) che si sono dimostrate efficaci nel ridurre di circa il 90% il rischio di sviluppare neoplasia a livello ovarico.
Lo studio relativo all’incidenza di mutazioni patogenetiche in una vasta coorte di donne pugliesi affette da carcinoma dell’ovaio è stato realizzato grazie al contributo della dott.ssa Antonella Turchiano, del dott. Antonino Pantaleo, del dott. Matteo Iacoviello e della dott.ssa Daria Loconte, membri del gruppo coordinato dalla professoressa Resta, con la collaborazione dell’unità di ginecologia ed ostetricia del Policlinico di Bari. Inoltre, fondamentale è stato il supporto dell’ACTO Puglia (Alleanza Contro il Tumore Ovarico), grazie alla erogazione di borse di studio in memoria di Adele Leone (precedente Presidente e Fondatrice della sezione ACTO).