La quantità di energia sprigionata dall’eruzione del vulcano sottomarino dell’isola Hunga Tonga, nel sud pacifico, è stata tale da rendere osservabile, anche a giorni di distanza e a decine di migliaia di chilometri dal punto di origine della sua propagazione, l’onda d’urto.
E’ quanto emerge da uno studio realizzato dall’Università di Bari e dalla sezione barese dell’Istituto nazionale di fisica nucleare in merito all’eruzione avvenuta lo scorso 15 gennaio. “La prima onda dopo aver viaggiato per 13.500 km – ha spiegato il professor Marcello Abbrescia dell’Università di Bari – ha raggiunto Ny-Ålesund, nelle isole Svalbard, lo stesso giorno alle 17:21 circa (ora italiana), manifestandosi con un aumento della pressione atmosferica misurata dai sensori installati sui tre rivelatori ‘Pola’ del progetto ‘PolarquEEEst’ (che misura il flusso dei raggi cosmici) operativi nella stazione artica dal 2019” – ha sottolineato.
“Una seconda onda d’urto che si è propagata in direzione opposta percorrendo più di 27.000 km – ha aggiunto il dottor Nicola Mazziotta dell’Infn – è stata registrata circa 12 ore dopo, alle ore 5.20 (ora locale) del giorno successivo, il 16 gennaio. Una terza, corrispondente al primo impulso rivelato, che ha proseguito a una velocità media superiore ai 300 metri al secondo nel suo viaggio attorno alla Terra, compiendo un giro ulteriore, è stata osservata dopo altre 36 ore, il 17 gennaio alle ore 17.35 circa. Ulteriori onde di pressione sono state osservate nella zona di Ny-Ålesund, dovute ai successivi passaggi della perturbazione” – ha concluso.
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