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Puglia, report Legambiente: l’impianto eolico off-shore di Taranto tra i 20 “bloccati” in Italia

Pubblicato da: redazione | Sab, 15 Gennaio 2022 - 18:26

Nell’Italia del sole e del vento, le rinnovabili faticano a decollare a causa di una burocrazia ingarbugliata e farraginosa, ma anche per i blocchi posti da Amministrazioni locali e regionali, da comitati Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato) senza dimenticare il ruolo del Ministero della Cultura e delle Sovrintendenze. A metterle sotto scacco sono normative obsolete, la lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, la discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, blocchi da parte delle sovrintendenze, norme regionali disomogenee tra loro a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni.

È quanto emerge dalla fotografia scattata dal nuovo report di Legambiente “Scacco Matto alle rinnovabili. Tutta la burocrazia che blocca lo sviluppo delle rinnovabili favorendo gas e finte soluzioni” che racconta venti storie simbolo di blocchi alle fonti pulite. Storie che riguardano tutto il Paese da Nord a Sud, dal Consiglio Regionale del Veneto che ha proposto una legge per limitare il fotovoltaico in aree agricole ai casi dell’eolico offshore di Rimini, Sicilia e Sardegna (Sulcis).

In Puglia le lungaggini burocratiche e ostacoli ricorrenti hanno bloccato l’avanzamento della realizzazione dell’impianto eolico offshore di Taranto, proposto nel 2008 a largo del porto della città, costituito da 10 turbine eoliche ciascuna da 3 MW, e che vede l’avvio dei lavori dopo ben 12 anni di opposizioni, prima da parte della Regione e della sovrintendenza in difesa del bellissimo “paesaggio dell’ex Ilva” e poi dell’Amministrazione tarantina. E sono 396, in tutta la regione, i progetti di impianti di energia da fonti rinnovabili in esame tra piccoli e grandi, in zone marginali e non (alcune dei quali anche in zone agricole). Tra questi, quelli in aree SIN (Sito d’Interesse Nazionale) che risultano attualmente bloccati per via della mancanza delle analisi di rischio sui terreni agricoli interessati, come ad esempio succede a Brindisi.

“In Puglia esistono normative datate che non tengono conto dell’evoluzione dello sviluppo tecnologico attuale e negando di conseguenza qualsiasi novità legata ai vantaggi dei sistemi rinnovabili. – dichiara il presidente di Legambiente Puglia, Ruggero Ronzulli – Si dice sempre che la Puglia sia autosufficiente dal punto di vista energetico, ma non è propriamente così. Una sua autosufficienza la Puglia ce l’ha ma la metà della potenza è data da fonti fossili derivanti dalla centrale di Cerano di Brindisi e da quella mista di Candela. Interloquendo continuamente con l’assessore regionale allo Sviluppo economico Delli Noci, abbiamo sempre ribadito la necessita di riaprire la discussione sul Piano Energetico Regionale per evitare di lasciare tutto nelle mani dei Comuni e ritrovarsi con le distese di fotovoltaico nel Salento o, nella zona di Foggia, gli effetti serra dell’eolico. Un Piano Energetico Regionale permetterebbe di stabilire le aree da destinare alle rinnovabili e di puntare sulle nuove tecnologie, come ad esempio l’agrivoltaico. E permetterebbe di ripensare anche le comunità energetiche così da puntare sull’autoproduzione dell’energia. Di fondamentale importanza è poi il tema dei progetti sulle energie rinnovabili bloccati per questioni burocratiche. In Puglia sono quasi 400. Questo problema va affrontato e risolto altrimenti si apriranno sempre contenziosi che terranno per sempre bloccate le opere da realizzare”.

Tutti questi ostacoli stanno mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi europei climatici che prevedono una riduzione del 55% delle emissioni, al 2030, rispetto ai livelli del 1990 e una copertura da rinnovabili del 72% per la parte elettrica. Un obiettivo preciso per mantenere la temperatura al di sotto del grado e mezzo e che l’Italia con i suoi 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni rischia di veder raggiunti non prima del 2100. Eppure, sottolinea Legambiente, se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine dell’iter autorizzativo, la nostra Penisola avrebbe già raggiunto gli obiettivi climatici europei.

Criticità e Proposte: Nel report Legambiente ricorda che tra le prime criticità che investono lo sviluppo delle fonti rinnovabili, nel nostro Paese, c’è la mancanza di un quadro normativo unico e certo in grado di mettere ordine e di ispirare le decisioni di tutti gli attori coinvolti nei processi di valutazione e autorizzativi. Il principale riferimento è il Decreto Interministeriale del 10 settembre 2010, emanato dal Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministero dell’Ambiente (ora Ministero della Transizione Ecologica) e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Un testo che ha ormai quasi 12 anni e risulta obsoleto rispetto a quanto è cambiato non solo in termini di conoscenze delle diverse tecnologie ma anche di innovazione e applicabilità.

Per questo Legambiente lancia oggi le sue proposte ribadendo l’urgenza di una revisione delle linee guida, rimaste ferme al DM del 2010, con un inquadramento aggiornato del comparto delle fonti rinnovabili e attraverso un lavoro congiunto tra MITE, MISE e Ministero della Cultura. Il varo di un Testo Unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato e dia tempi certi alle procedure.  Inoltre a fianco a processi di semplificazione dei processi, di trasparenza e certezza dei tempi è necessaria una maggiore partecipazione dei territori sia nell’individuazione delle strategie da attuare per il raggiungimento degli obiettivi climatici sia nella realizzazione e individuazione dei siti dove questi devono essere collocati.

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