Gli investitori della Popolare di Bari erano informati del fatto che le azioni fossero “fortemente illiquide”. E’ quanto dichiarato in aula dal funzionario Consob, Massimo d’Agostino, ascoltato nella giornata di oggi in qualità di testimone sulla vecchia gestione dell’ente di credito.
In particolare D’agostino ha precisato che nella seconda pagine dei prospetti 2014 e 2015 fosse esplicitato che le azioni non fossero negoziate in alcun mercato regolamentato con il rischio, pertanto, di non poterle “rivendere mai”. Nel processo sono imputati Marco Jacobini e il figlio Gianluca, rispettivamente ex presidente ed ex condirettore generale. Entrambi sono accusati di falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza.
Il prezzo delle azioni dell’istituto di credito barese è “una autodeterminazione della banca che se la canta e la suona” ha detto d’Agostino in aula – “niente di illegale, ma abbiamo chiesto alla banca di esplicitare questo concetto nei prospetti tra fattori di rischio, come gesto di estrema trasparenza verso l’investitore”. Oggetto dell’audizione del funzionario è stato in particolare l’iter delle istruttorie Consob sui due aumenti di capitale del 2014 e 2015.
“La ragione dell’aumento di capitale, con l’offerta di vendita delle azioni scontate del 6% rispetto al loro valore di 9,53 euro era legata al salvataggio di banca Tercas” – ha spiegato ancora D’Agostino – il primo aumento di capital nel 2014 da 500 milioni di euro si era chiuso con successo mentre quello di 50 milioni del 2015, per una combinazione diabolica di eventi pazzesca, dovuta all’indagine della Commissione europea che ipotizzava l’operazione Tercas come aiuti illeciti di Stato, diventò un incubo” – ha concluso ricordando che fu in quella fase che, sollecitato dalla Consob, Marco Jacobini continuava a ribadire “che non c’erano perdite all’orizzonte”.