“Nella stanza non ero sola. C’era una mamma con il suo bambino tra le braccia. Io, il mio lo avevo perso qualche ora prima. Lo avevo partorito senza vita”. Sono tante le storie che vengono fuori da donne che hanno vissuto un aborto clinico e che di quegli istanti portano le cicatrici della solitudine e del senso di colpa. Sono donne che non hanno uno spazio dedicato negli ospedali. Che, se c’è posto, hanno una stanza singola, diversamente vivono il loro dolore che stride con la felicità della compagna di stanza. E da quegli ospedali, dopo poche ore sono fuori senza più un piccolo nella pancia. Solo dopo, con il trascorrere dei giorni, il pensiero torna a chi non c’è più e ci si chiede che fine abbia fatto quel corpicino.
Sì perché la domanda generalmente viene posta dal medico ma solo ad aborto fatto, in un momento in cui è difficile prendere una decisione. “Noi – racconta una mamma – abbiamo scelto di lasciarlo lì perché la medicina lo studiasse, affinché la rarità di questo caso avesse le sue documentazioni. Il dolore con il passare dei giorni aumentava insieme ai sensi di colpa, volevamo il nostro bambino. Mio marito – racconta ancora – facendo un po’ di ricerche è venuto a capo di tutto. Il corpo del bambino era stato seppellito nel campo dei bambini mai nati e adesso abbiamo un po’ di pace. In questi giorni ho conosciuto tante donne, mamme che hanno avuto la nostra stessa esperienza è che purtroppo anche loro non hanno saputo prendere una scelta in quel momento di poca lucidità, ma di forte e immenso dolore. Hanno provato a cercare i corpi ma nulla, alcune di loro hanno richiesto il corpo ma è stato comunicato purtroppo che erano stati smaltiti nei rifiuti speciali. Come si può dire ad una mamma nel suo pieno dolore una cosa simile? Come si può negarle l’unica cosa che le resta di tutta questa tragedia?”.
La mamma prosegue: “Chiedo che anche nei campi ospedalieri ci sia informazione e ci sia supporto per queste mamme più bisognose, perché è semplice prendersi cura di mamma e neonato quando tutto va nel verso giusto, ma noi che abbiamo perso il nostro bimbo non siamo mamme di serie b. Siamo mamme e donne che hanno bisogno di una spalla in più sulla quale poggiarsi“.