Alle prime luci dell’alba, i Carabinieri della Compagnia Carabinieri di Triggiano, al termine di complessa attività investigativa, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare, nei confronti di 6 soggetti, di cui tre in carcere, una ai domiciliari e altre due all’obbligo di firma con contestuale obbligo di dimora, emesse dal GIP del Tribunale di Bari, su richiesta della Procura della Repubblica di Bari.
Ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere, furto aggravato, ricettazione, danneggiamento seguito da incendio, estorsione e simulazione di reato.
Le indagini, condotte, anche mediante attività tecniche di geolocalizzazione, dai Carabinieri della Sezione Operativa di Triggiano e delle Stazioni di Capurso e Valenzano, coordinate dalla Procura di Bari, hanno acceratto l’esistenza di un sodalizio criminoso che, nel periodo compreso tra novembre 2019 e marzo 2020, aveva posto in essere numerosi furti di autovettura nei comuni di Bari, Valenzano, Rutigliano, Capurso, Cellamare, Casamassima, Bitritto, Palagiano (TA) e Laterza (TA).
Nel periodo, sono stati documentati 9 furti di auto e 2 tentativi, mentre altre 3 autovetture sono state bruciate. Infatti, i membri del sodalizio, con base operativa in Cellamare, in alcune circostanze dopo aver cannibalizzato i mezzi rubati, li davano alle fiamme al fine di evitare i rilievi tecnici da parte delle Forze di Polizia. A carico degli indagati sono emerse anche responsabilità penali per il reato di estorsione con il metodo del c.d. “cavallo di ritorno”. In una circostanza, è stato appurato, infatti, la richiesta di 800 euro al proprietario di un’auto rubata al fine di fargliela ritrovare. Inoltri, i membri della banda, si erano dotati di sofisticati apparati elettronici, ma anche del classico “punzone”, un oggetto artigianale simile a un cavatappi utilizzato per sfilare il cilindretto d’accensione al fine di sbloccare il volante e raggiungere i sistemi elettrici di accensione del veicolo. Il modus operandi era quello di eseguire dapprima il monitoraggio delle aree ove operare e quindi una volta individuato il veicolo veniva rubato per poi essere occultato per alcuni giorni in aree di sosta pubblica. La strategia era quella di parcheggiare regolarmente i mezzi rubati al fine di evitare il controllo delle Forze di Polizia.
Tra gli indagati, promotori dell’associazione, vi sono anche marito e moglie. In particolare, il ruolo della donna, ben consapevole dell’attività delinquenziale posta in essere dal marito, era quello di favorire il sodalizio criminale mettendo a disposizione autovetture a lei intestate con cui i sodali monitoravano le aree di interesse delle auto da rubare. In una circostanza, credendo che una di queste autovetture fosse stata scoperta come mezzo usato per compiere un colpo, ne denunciava falsamente il furto.