Ventidue condanne nei confronti di affiliati al clan Capriati di Bari accusati a vario titolo di associazione mafiosa, traffico e spaccio di droga, aggravati dal metodo mafioso e dall’uso di armi. E’ quanto confermato dalla Corte di Appello di Bari che ha anche ridotto per alcuni le pene inflitte con rito abbreviato in primo grado nelgennaio 2020.
Il procedimento, aggravato anche dalle accuse di porto e detenzioni di armi da guerra ed estorsioni aggravate dal metodo mafioso e continuate, nasce dall’inchiesta coordinata dal pm della Dda di Bari Fabio Buquicchio che aveva accertato che il clan aveva assunto il controllo del servizio di assistenza e viabilità all’interno del porto di Bari.
I giudici, in particolare, hanno confermato la condnna a 20 anni di reclusione per Filippo Capriati, nipote dello storico capo clan Antonio. Ridotta invece, da 20 a 14 anni, la pena inflitta a Gaetano Lorusso, mentre da 14 a 10 nei confronti di Pietro Capriati, fratello di Filippo. Nel processo era contestato ad alcuni componenti del gruppo criminale di aver obbligato i commercianti del mercato di Santa Scolastica e gli ambulanti della festa patronale di San Nicola (edizione 2015) ad acquistare merce da fornitori amici, utilizzando forme di intimidazione del “brand Capriati”. Oltre a questo ci sono anche accuse di traffico di armi e droga, furti e rapine. Nei confronti di 9 imputati, tra questi anche Sabino Capriati, è in corso il proceso di primo grado.
Infine, la Corte ha inoltre accolto il ricorso della Cooperativa Ariete che si occupava di gestire i servizi nel porto e di cui alcuni imputati erano dipendenti. Alla cooperativa è stato riconosciuto il risarcimento danni e, la conferma della condanna degli imputanti a risarcire le altre parti civili: Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale-Adsp Mam, Ministero dell’Interno, Agenzia delle Entrate e Associazione Antiracket Puglia.