“Ieri ho sentito che una vuole fare l’infamità a tutti quanti, fai attenzione”, dice una donna usuraia. “Io ho il sangue agli occhi, che me ne devo fare della madama”, risponde il secondo usuraio. “Quella non ragiona più? – continua l’uomo – io la prendo e la butto abbasc poi ti faccio vedere io , va bene?”. Sono solo alcune delle intercettazioni raccolte dalla Finanza nell’ambito dell’operazione che ha portato a bloccare una fitta rete di usurai con vittime soprattutto nei rioni San Pasquale, San Paolo e Japigia.
Le intercettazioni rivelano da una parte le violenze degli usurai nei confronti delle vittime che non pagavano o si ribellavano, e dall’altra la pressione degli interessi: “Le ho detto – dice una delle vittime – che non ce la faccio a dare soldi a lei, vuole sempre gli interessi, Perché gli devo dare sempre gli interessi fissi al mese?”
Le operazioni della Finanza hanno rivelato la presenza della figura dell’usuraio “di quartiere”, ovvero del “cravattaio”, che gestisce – in prima persona o con la connivenza di propri familiari – i rapporti con le vittime, mettendo a frutto la propria ricchezza e lucrando così sullo stato di difficoltà finanziaria dei malcapitati. Conferma di questo fenomeno si è avuta con l’indagine di polizia giudiziaria denominata “Cravatte rosa”, all’esito della quale lo scorso novembre le fiamme gialle hanno arrestato 13 persone.
In particolare le indagini investigative – hanno consentito di scoprire un modus operandi di tipo “domestico”, per centinaia di migliaia di euro gestito, dal 2011 al 2020, da donne appartenenti a 4 nuclei familiari nei confronti di loro vicini di casa, residenti nei quartieri popolari Japigia, San Pasquale e San Paolo di Bari.
Il “modus operandi” dell’attività usuraria prevedeva la restituzione – anche mediante il ricorso a violenze e minacce – della somma prestata (in un arco temporale ricompreso nella maggior parte dei casi tra una settimana ed un massimo di 6 mesi) con l’applicazione di tassi di interesse annui fino a oltre il 5mila%. Inoltre, per i prestiti ottenuti vigeva la regola del “salto rata”, ovvero la vittima – laddove non fosse stata in grado di pagare, alla scadenza, la rata pattuita – era costretta a versare una “penale”, denominata “solo interesse”, ammontante al 50% della rata mensile prevista, con la conseguenza che il debito residuo rimaneva inalterato e che i tempi di estinzione del prestito si allungavano. A cadere nella morsa dell’usura anche impiegati, commessi ed operai, alcuni dei quali anche accaniti giocatori di “bingo”, “lotto”, “slot machine” e “gratta e vinci”, tanto che, in una circostanza, una vittima “ludopatica” si è ritrovata in difficoltà tali da dissipare intere fortune, arrivando persino a vendere l’abitazione nella quale viveva.