Quando si entra nel reparto Covid di terapia intensiva in Fiera del Levante, a Bari, ci si ritrova davanti ad un ambiente lunare. E’ tutto bianco o grigio, intorno solo il rumore perpetuo tra i macchinari per monitorare costantemente la salute dei pazienti e la ventilazione polmonare per garantire il corretto apporto di ossigeno. In sottofondo a basso volume si percepisce anche qualche canzone pop contemporanea, con uno dei successi sanremesi Musica leggerissima.
Entrando nei tunnel ospedalieri si perde ogni connotato distintivo. Tute protettive, guanti, mascherine, visiere, nastro bianco per sigillare ogni pertugio della bardatura. Gesti ripetitivi dopo 14 mesi di emergenza sanitaria, la mancanza di aria fresca sotto la tuta è prassi. Si comunica alzando un po’ la voce, rimarcando i gesti usuali e addirittura per riconoscersi facilmente medici, infermieri, oss scrivono sulla tuta il proprio cognome. E alcuni di loro ci aggiungono qualche disegno, magari un fiorellino.
Dove finisce la comunicazione verbale e visiva, inizia l’interazione basata sui sentimenti: una carezza nonostante il doppio strato di lattice per svegliare l’anziana donna ricoverata da due settimane, quasi esanime, le viene ricordata la video chiamata con i paramenti a casa. Tra i pazienti c’è chi prova a distrarsi leggendo un libro, chi riesce a risollevarsi da quel letto dopo aver rischiato la vita per colpa di un virus invisibile. Uno spaccato di realtà che può solo far riflettere, su quanto è importante provare a sorridere anche quando si è in difficoltà.
Una “guerra” che viene combattuta in gruppo dai medici in prima linea. Prima di Pasqua il pronto soccorso di Bari registrava 70 presenze giornaliere per Covid19 mentre in Fiera furono superati i 130 ricoverati. Negli ultimi giorni però i posti occupati sono meno di 120 e c’è anche qualche letto libero. Al pronto soccorso del Policlinico si è scesi sotto le 30 unità giornaliere registrate. Un segnale di un timido rallentamento della curva secondo il professor Loreto Gesualdo, presidente della scuola di Medicina dell’Università di Bari che però invita a non abbassare la guardia: “È ancora il tempo della responsabilità collettiva – spiega – anche per noi operatori sanitari che, dopo 14 mesi in prima linea, avvertiamo la stanchezza. È ancora il tempo del servizio, come anche del rispetto delle regole, da parte di tutti”, conclude.