I provvedimenti dovuti al lockdown hanno svolto un ruolo “Non marginale” nella contrazione del valore aggiunto dei settori italiani. E’ quanto emerge da un rapporto stilato dall’Istat. Il valore aggiunto è “diminuito dell’11,1% nell’industria in senso stretto, dell’8,1% nei servizi, del 6,3% nelle costruzioni e del 6% nell’agricoltura”. Ad essere più colpite sono state le attività legate al turismo, con una diminuzione del 59,2% degli arrivi totali e del 74,7% di quelli dall’estero. La quota di chi segnala seri rischi di chiusura è elevata, in particolare, nelle attività delle agenzie di viaggio (oltre 73%), in quelle artistiche e di intrattenimento (oltre 60%), nell’assistenza sociale non residenziale (circa 60%), nel traporto aereo (59%), nella ristorazione (55%).
Nel comparto industriale risaltano le difficoltà della filiera della moda: abbigliamento (oltre 50%), pelli (44%), tessile (35%). Nei servizi risulta strutturalmente fragile o a rischio circa il 50% delle imprese, con picchi in alcuni settori a bassa intensità di conoscenza: ristorazione (95,5%), servizi per edifici e paesaggio (90%), altre attività di servizi alla persona (92,1%), assistenza sociale non residenziale (85,6%), attività sportive e di intrattenimento (85,5%). Nell’industria quote elevate si osservano in comparti a basso contenuto tecnologico: legno (79,7%), costruzioni specializzate (79,7%), alimentari (78,5%), abbigliamento (73,2%).
“La crisi – afferma Istat – ha colpito soprattutto le imprese di piccola e piccolissima dimensione attraverso un crollo della domanda interna e della liquidità: il 30% è rimasto «spiazzato» dalla pandemia, un quarto ha reagito introducendo nuovi prodotti, diversificando i canali di vendita e fornitura, un quinto ha riorganizzato profondamente processi e spazi di lavoro. Le regioni più colpite sono risultate: Campania, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Puglia, Lazio, Umbria e Toscana. L’impatto economico della pandemia sui territori è stato «eterogeneo ma pervasivo”.