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Covid in Puglia, con lo smart working aumenta il lavoro ma compensi inadeguati. L’allarme

Pubblicato da: Francesca Emilio | Dom, 17 Gennaio 2021 - 11:00

“All’inizio era divertente, poi è diventato sfruttamento velato, giustificato dalla scusante del poter lavorare da casa”. A raccontarlo ai nostri microfoni sono alcuni lavoratori pugliesi alle prese con lo smart working.

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Dilatazione del tempo lavoro, assenza di pause con la tendenza comune al doversi sentire sempre a disposizione e l’inevitabile conseguenza dell’aumento del carico di lavoro, ma non solo. Gestione in contemporanea del lavoro e della famiglia (per madri e padri) oltre all’assenza di stimoli, diritti e possibilità di confronto con i propri superiori o i propri colleghi. Sono solo alcune delle problematiche denunciate ai nostri microfoni, dai lavoratori, uomini  e donne, che ormai da quasi un anno, con l’incalzare dell’emergenza sanitaria, sono alle prese con quello che è un vero e proprio territorio inesplorato anche per i sindacati.

A confermarlo ai nostri microfoni è Barbara Neglia, segretaria della Filcams Cgil Puglia. “Con il Covid19 il passaggio alla modalità da remoto si è fatta necessaria, ma non eravamo pronti – ha raccontato – In prima battuta i feedback erano positivi, con il passare del tempo ci si è resi conto invece che stavano venendo meno una serie di diritti che nel tempo si erano acquisiti. Non esiste una regolamentazione utile per garantire i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici pugliesi e non”.

Le anomalie, secondo Neglia, sono diverse, tra queste, oltre quelle già citate, non solo il fatto che questa nuova modalità operativa vede i dipendenti dover utilizzare le proprie risorse personali (tra cui computer, smartphone o rete internet), in alcuni casi senza rimborsi delle spese, ma anche il fatto che, essendo a casa e non essendoci “Pause caffè”, è venuta meno quella suddivisione delle ore lavorative normalmente garantita dal lavoro in presenza.

Si tratta di una modalità, quella da remoto, che stando a quanto dichiarano gli esperti, potrebbe diventare la prima opzione di moltissime aziende. A confermarlo Marco, dipendente di un’azienda barese, con una testimonianza che conferma le preoccupazioni della segretaria Filcams Cgil.

“La mia azienda, con lo smart working, sta risparmiando un sacco in bollette. Credo continuerà su questa strada – ha raccontato – Ormai lavoro praticamente ventiquattro ore al giorno. Senza rendermene conto, nella mia testa, si è innescato un meccanismo pericoloso, quello della disposizione continua perché ‘tanto sono a casa’ . A questo però non è corrisposto un aumento dello stipendio, al contrario, è diventato quasi normale, per i datori di lavoro, considerare un premio quello di poter lavorare avendo a disposizione ‘tutti i comfort’, senza considerare che non solo si va incontro all’alienazione lavorativa, ma anche all’assenza di socialità, ora impossibile per via del Covid, ma la tendenza è questa” – ha concluso il ragazzo.

Lo stesso ha confermato Angelica, che lavora  in un’agenzia di comunicazione pugliese e si occupa di siti web. “Ormai vivo in tuta, non ho più necessità di vestirmi o sistemarmi per andare al lavoro – ha raccontato la donna – La mia agenzia aveva già intenzione di passare alla modalità da remoto, con la pandemia ha dovuto provarlo forzatamente. Adesso è la modalità ufficiale. A fine anno hanno dismesso uffici e arredi, a parte un’unica sede a Milano. Rispetto ad altri siamo fortunati: sono precisi con la retribuzione e io personalmente lavoro esattamente quanto prima, ovvero quattro ore e sempre negli stessi orari. Di negativo però c’è che tutto passa tramite chat e riunioni online, la formazione ne risente e manca il confronto con i colleghi o i responsabili diretti”.

Problemi analoghi sono stati denunciati ai nostri microfoni anche da Pamela Angiuli, responsabile struttura di settore università Flc Cgil. Secondo Angiuli, nel settore della conoscenza, in cui il lavoro da remoto è ormai diventato preponderante sia nella formula della didattica a distanza, sia nella formula dello smart working, a risentirne in particolare, in Puglia, è il personale tecnico amministrativo, soprattutto in ambito universitario.

“Si tratta di una modalità di lavoro invasiva. Non abbiamo modelli di contrattazione da cui poter prendere esempio, così diventa difficile capire come aiutare i lavoratori – ha sottolineato Angiuli – “Ci sono colleghi all’università che gestiscono studenti nell’ambito della segreteria che, essendo in una dinamica di smart working, rispondono ai messaggi quasi 24 ore su 24. Si stanno mettendo in discussione diritti assodati da tempo e conquistati con battaglie a fronte del fatto che il lavoro si svolge da casa. Ai lavoratori non solo viene prolungato il tempo di lavoro, ma viene chiesto spesso anche di farlo a proprie spese, senza ristori per linea Adsl o altro” – ha concluso sottolineando che, in molti casi, a causa dell’emergenza sanitaria, ci sono lavoratori che si ritrovano a svolgere il proprio servizio in contemporanea con i propri figli, ad oggi in didattica a distanza.

“Il nostro obiettivo è quello di siglare quanto prima protocolli che vadano a regolamentare questa modalità lavorativa – ha commentato ancora Barbara Neglia – Molte aziende proseguiranno su questa linea anche dopo la pandemia, dobbiamo farci trovare preparati per continuare a garantire i diritti dei lavoratori, sia per quanto riguarda gli strumenti utili per lavorare, sia per regolamentare gli orari. Intanto – conclude Neglia – Un primo passo è stato fatto con l’accordo siglato negli scorsi giorni con Coop Alleanza 3.0”, un progetto sperimentale, va specificato, che ha come obiettivo quello di avviare una regolamentazione dello smart working nella grande distribuzione.

“Lavorare da casa è bello, fino a un certo punto – ha concluso Marco – Se dovesse diventare la prassi, cosa molto probabile, a pandemia finita, non avrei più il tempo di occuparmi di altro. Io sono giovane, non oso immaginare madri o padri di famiglia. La scusa della comodità di non doversi spostare non deve giustificare l’assenza di retribuzione adeguata o gli orari di lavoro continui. A me, come ad altri miei colleghi ormai sembra quasi normale dover essere sempre pronti a rispondere alle chiamate di lavoro, perché tanto siamo a casa, è tutto a portata di mano, non bisogna dimenticare che è ingiusto, anche se adesso siamo bloccati a casa per via dei decreti e della pandemia”.

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