Avrebbero cominciato in ritardo le manovre rianimatorie su una donna di 55 anni in arresto cardiaco al termine di un intervento di isterectomia laparoscopica. Così – stando alle denunce della famiglia – la paziente, Vincenza Milo, di origini campane e ricoverata nella clinica Santa Maria di Bari, avrebbe subito danni cerebrali irreversibili finendo in coma. Il fatto risale al settembre 2016.
La donna è morta in una clinica di Treviso tre anni dopo, nel luglio 2019. Nel frattempo entrambe le denunce della figlia, assistita dall’avvocato Carlo Broli, per lesioni gravissime e falso in cartella clinica sono finite in altrettante richieste di archiviazione fatte dalla Procura di Bari. E in entrambi i casi la famiglia ha presentato opposizione. A cinque anni dai fatti le udienze, di volta in volta rinviate per il rischio crollo del Palagiustizia di Bari e il successivo trasloco, poi per diverse astensioni e infine per l’emergenza Covid, non sono ancora state celebrate (sono fissate per il 10 giugno 2021) e la famiglia torna a chiedere giustizia, questa volta sollecitando nuove indagini per l’accusa di omicidio e non più di lesioni. Nel procedimento sono indagate cinque persone, tra medici e infermieri dell’equipe chirurgica. Stando alla consulenza tecnica disposta nel parallelo procedimento civile che è in corso e che è stata depositata con l’atto di opposizione, «se la rianimazione cardio-polmonare fosse stata eseguita tempestivamente e correttamente, con elevata probabilità non si sarebbe verificato alcun danno ipossico-anossico irreversibile». Il «sospetto» è che «il personale sanitario – dicono i consulenti – si fosse allontanato momentaneamente dalla sala operatoria, lasciando sola la paziente», nel frattempo in arresto cardiaco, rendendo così «vano il successivo ma tardivo intervento rianimatorio».