Sono 10 le condanne definitive, per un totale di oltre 60 anni di reclusione, nei confronti di altrettanti affiliati al clan Di Cosola di Bari, a seguito dell’operazione denominata dai carabinieri del capoluogo pugliese “Attila 2”. La fine dell’anno 2020 ha visto, così, aprirsi le porte del carcere per gli imputati, a seguito della decisione della Corte Suprema di Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da questi ultimi e ha trasformato in definitiva la sentenza della Corte d’Appello di Bari del 23 settembre 2019.
Quest’ultima, in riforma della sentenza emessa dal Cup di Bari il 28 maggio del 2018, aveva riconosciuto gli imputati colpevoli, a vario titolo, dei delitti di associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, coercizione elettorale in concorso. Quattro di loro, che allo stato si trovavano liberi, sono stati arrestati dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Bari a seguito di un’operazione che ha visto impegnate decine di militari, tra lo stesso capoluogo pugliese e i Comuni di Noicattaro e Giovinazzo, mentre per gli altri sei i provvedimenti restrittivi sono stati notificati presso le case circondariali dove si trovavano già detenuti.
Il provvedimento costituisce l’epilogo dei processi avviati a seguito delle indagini condotte tra il 2015 e il 2016, coordinate dalla Direzione distrettuale Antimafia del capoluogo pugliese, nei confronti del clan Di Cosola, consorteria mafiosa tuttora attiva tra Bari e provincia, che aveva mostrato in quegli anni, nonostante gli importanti interventi repressivi subiti ad opera della magistratura e dell’Arma dei carabinieri (e la conseguente scelta collaborativa intrapresa da alcuni dei suoi esponenti di maggior spessore), di avere mantenuto e sviluppato la sua concreta e pericolosa capacità criminale nell’area d’influenza. L’inchiesta aveva messo in luce come il clan avesse, nel suo vasto territorio d’interesse, condizionato le consultazioni regionali del maggio 2015, mediante un pactum sceleris che prevedeva la corresponsione di una somma pari a 50 euro per ogni preferenza procurata dalla consorteria in favore del candidato. Gli elementi raccolti avevano anche dimostrato il ricorso alla forza di intimidazione esercitata dagli associati nei confronti degli elettori, i quali venivano minacciati, a fronte della promessa di 20 euro per ogni voto accordato al politico, di ritorsione in caso di non adempienza.
Dopo l’operazione “Pilastro” del 2015 e l’avvio della collaborazione con la giustizia da parte di Antonio Di Cosola e dei suoi più stretti familiari, i militari del nucleo investigativo di Bari, il 30 dicembre 2015 avevano portato a termine 5 ordinanze di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione “Attila”, per associazione mafiosa aggravata dalla disponibilità di armi da guerra (tra le quali un bazooka pronto all’uso) nei confronti dei contendenti al ruolo di capo clan, precedentemente ricoperto proprio da Antonio Di Cosola. In seguito, il 13 dicembre 2016, sempre i carabinieri di Bari avevano eseguito 25 ordinanze di custodia cautelare in carcere, nell’ambito dell’operazione “Attila 2”, per associazione mafiosa (aggravata dalla costante disponibilità di armi) e per voto di scambio politico-mafioso. In breve tempo, le due inchieste, alla luce dei decisivi elementi di responsabilità raccolti nei confronti di tutti gli indagati, sono sopraggiunte a sentenza di primo grado, confermata in appello e divenuta irrevocabile a seguito di ricorsi proposti dagli imputati ritenuti inammissibili.
Si arrestati sono Pasquale Maisto, condannato a 4 anni e 5 mesi, Pasquale Colasuonno, condannato a 6 anni e 8 mesi, Francesco De Caro, condannato a 6 anni e 8 mesi, Leonardo Mercoledisanto e Piero Mesecorto, condannati entrambi a 7 anni di reclusione. E ancora, Raffaele Anemolo, condannato a 6 anni e 8 mesi, Michele Angelini, condannato a 7 anni e 4 mesi, Armando Battaglia, condannato a 6 anni e 8 mesi, Michele Di Cosola, condannato a 2 anni e 4 mesi e Damiano Partipilo, condannato a 6 anni e 8 mesi.