La pesca pugliese è in crisi. E’ l’allarme lanciato da Coldiretti Puglia negli scorsi giorni, confermato anche dalle testimonianze drammatiche di alcuni pescatori locali. Circa 20mila i ristoranti chiusi, tante le restrizioni sugli spostamenti che non permettono ai clienti abituali di potersi recare, il più delle volte, dai propri venditori di fiducia, ma anche crollo delle attività del 40% e, infine, aumento del 2% dei prodotti ittici surgelati d’importazione, a causa dei costi elevati dei prodotti freschi locali e della crisi che si sta abbattendo su molte famiglie. Sono solo alcune delle problematiche legate al momento storico che sta piegando i lavoratori del settore. Ma non solo, alle questioni strettamente collegate al periodo di crisi dovuto alla pandemia, vanno aggiunti “anni di indifferenza nei confronti di un settore lasciato a morire”.
Da Bari a Giovinazzo, fino ad arrivare lungo tutte le coste pugliesi, la situazione è analoga, se non con qualche rara eccezione, che riguarda soprattutto le città più grandi, come ha specificato un pescatore che ha base a Molfetta, secondo il quale, il lavoro prosegue “per il momento senza intoppi”. A dichiarare lo stato di allarme, nello specifico, è stato però Maurizio Albanese, pescatore barese, per il quale, la situazione attuale è “un colpo di grazia” che sta mettendo in seria difficoltà persone e famiglie, oltre che lavoratori.
“Il lavoro è calato di molto, la ristorazione non ordina più niente, gli alberghi non funzionano, non riusciamo più a vendere, a tutto questo va aggiunto il fatto che già si lavorava poco, in quanto il mare è praticamente prosciugato. Siamo al punto di non ritorno” – ha raccontato ai nostri microfoni il pescatore.
Tante le problematiche sollevate da Albanese, tra queste, oltre a quelle legate Covid-19 e a problematiche ambientali che vedono, secondo lo stesso, il litorale pugliese sempre meno provvisto di prodotto ittico, anche l’annosa questione dei pescatori abusivi.
“Per ogni licenza autorizzata in Italia, ci sono in proporzione almeno mille dilettanti – ha sottolineato il pescatore, specificando che, nel solo borgo di S.Spirito sarebbero nove le licenze in regola, contro le oltre 300 imbarcazioni abusive. “Si tratta di persone che per arrotondare vanno in mare e vendono il pesce, cosa comprensibile vista la situazione generale – ha continuato Albanese – tutto questo però accade a discapito di chi lavora onestamente. Non ci sono controlli, ci ritroviamo così a dover spartire quel poco che c’è, tra centinaia di persone. Il mare ha già dato troppo, abbiamo prelevato talmente tanto che non c’è più niente. Un dilettante non ha spese, noi si, ci mettono in seria difficoltà” – ha concluso.
A fare eco alle parole di Albanese ci sono quelle di Giuseppe Fiorentino, comandante del peschereccio Don Oronzo, che al contrario di Albanese, ha dipendenti a bordo e, a causa delle crisi, rischia di non poter pagare.
“Scegliere di fare questo mestiere oggi è da pazzi – ha commentato il pescatore – non c’è nessuno che ci tutela, nessuno che sta dalla nostra parte, dalla parte non solo dei pescatori, ma anche di padri che devono occuparsi della propria famiglia. Ci hanno distrutti e continuano a farlo. La crisi nel nostro settore dura ormai da oltre due anni, ci stavamo pian piano risollevando adesso abbiamo avuto la mazzata finale, ma siamo ben consapevoli che i problemi risalgono a molto prima. Siamo vittime di una burocrazia lenta dalla quale aspettiamo ancora i soldi del fermo del 2019, non potevamo certo sperare che con il Covid le cose non andassero peggio”- ha specificato.
Anche per Fiorentino, quello della pesca è un settore morente che ben presto sparirà. A monte di queste dichiarazioni vi è la mancanza di supporto, non tanto a livello economico, ma a livello logistico. Per anni infatti, secondo entrambi i pescatori, sarebbe venuto a mancare l’aiuto delle autorità competenti accusati di non aver vigilato con attenzione il mare e i mercati del pesce. A questo però, va aggiunto anche il costante stato di abbandono che i pescatori locali hanno vissuto nel momento in cui sono state prese decisioni determinanti per il futuro del mestiere, senza interpellare i lavoratori del settore.
Sotto accusa, nello specifico, l’accostamento della pesca locale a quello della Comunità Europea che ha portato allo stremo i piccoli lavoratori del settore, poiché vincolati a normative adatte ai mari del nord, ma non a quelli del sud. Ma non solo, ad innescare un effetto domino tale da rendere preferibile per molti abbandonare il lavoro piuttosto che continuare, anche il fatto che in diversi casi sono stati imposti dei “fermi pesca” in periodi “sbagliati”.
“Abbiamo visto un cambiamento minimo nel periodo in cui siamo stati fermi da marzo a maggio – ha specificato Fiorentino – le barche non hanno lavorato, i pesci hanno iniziato le loro naturali fasi di riproduzione e quando siamo tornati in mare c’era del prodotto pescabile ora non è più così. Hanno effettuato delle modifiche errate alle leggi sulla pesca locale, ma cosa ancora più grave lo hanno fatto senza mai interpellarci come categoria” – ha commentato ancora Fiorentino citando Conf Commercio Manfredonia, al quale fa riferimento, assieme ad altri, per poter sperare, ha spiegato ancora, “in un qualche supporto a lungo termine, non solo palliativo”.
“Ora come ora non posso pagare il mio equipaggio e molto spesso preferisco non uscire – ha concluso – siamo abbandonati a noi stessi e non è solo per il Covid. Ci porta avanti la passione, se manca quella, non saprei come continuare. D’altronde in Italia, pensare di cambiare lavoro a 45 anni, dopo oltre trenta di competenza in un settore, è davvero impossibile”.