Non solo chemioterapia per combattere il cancro. Aumenta, infatti, in oncologia la possibilità di intervenire con terapie mirate a uccidere solo le cellule tumorali – evitando dunque le distruzioni a tappeto di cellule sane e malate indotte dalle cure chemioterapiche – in vari casi di tumore. Ciò anche grazie alla scoperta dell’Irccs de Bellis di Castellana Grotte: qui un progetto di ricerca guidato dal professor Cristiano Simone e finanziato dalla Fondazione Airc ha individuato in laboratorio il ruolo chiave di un gene che produce una delle proteine “operaie” addette alla riparazione del DNA. Si chiama SMYD3, era nota da una decina d’anni poiché rilevata in dosi massicce in vari tipi di tumore, ma non se ne conosceva ancora la funzione. Dopo solo otto mesi di ricerca (il progetto è quinquennale), il lavoro del de Bellis – appena pubblicato sulla prestigiosa rivista iScience del gruppo Cell, prime autrici Paola Sanese e Candida Fasano – ha fatto luce sul suo funzionamento, dimostrando come, in alcuni casi, bloccando la proteina con farmaci inibitori le cellule tumorali non riescano ad a riparare il proprio DNA e muoiano. Si tratta dei casi di fasce non indifferenti di tumore al seno (15% dei casi), colon (11%), ovaio (15%), pancreas (10%).
“La nostra scoperta amplia l’applicabilità del cosiddetto meccanismo di “letalità sintetica” – spiega il professor Simone – che, sfruttando le differenze genetiche – mutazioni – fra cellule tumorali e cellule normali, permette di uccidere in maniera mirata solo quelle cancerose, risparmiando le sane. Un principio dunque con grandi potenzialità, finora utilizzabile però solo nella terapia del cancro dell’ovaio e del pancreas e solo in pazienti oncologici predisposti a causa di mutazioni dei geni BRCA1/2. Abbiamo dimostrato – prosegue il ricercatore – che bloccando la funzione della proteina oggetto della nostra ricerca, la SMYD3, si possono rendere sensibili agli inibitori di PARP anche cellule tumorali in soggetti con geni BRCA1/2 normalmente funzionanti, non mutati. Ciò perché abbiamo scoperto che SMYD3 è un partner fondamentale di queste proteine della riparazione, e inibendolo si blocca anche la loro funzione, ottenendo un effetto simile a quello di una mutazione genetica nel gene corrispondente. Grazie a un’analisi dei dati di circa 2000 pazienti a livello mondiale – conclude – abbiamo identificato una percentuale di tumori che, non presentando deficit della riparazione del DNA, aumentano molto però la produzione di SMYD3, e dunque sono sensibili alla sua inibizione: questi, per i quali finora esisteva solo la chemioterapia, rappresentano il target terapeutico farmacologico”.
A tirare le somme è, poi, il direttore scientifico dell’ospedale De Bellis di Castellana, Gianluigi Giannelli: “Il nostro obiettivo è sviluppare gli inibitori di SMYD3 in modo da ottenere farmaci potenti da testare in studi clinici controllati (trials), ai fini di questa nuova terapia farmacologica combinata (SMYD3+PARP). Da sottolineare – conclude – la collaborazione con l’NIH statunitense oltre che con altri gruppi Airc di Roma, Bologna e Milano, a sottolineare la portata internazionale e interdisciplinare della ricerca, tra l’altro adottata in ambito Airc anche dal prestigioso Top Donors, formato da grandi aziende internazionali”.