Continua a crescere la comunità delle imprese di stranieri in Italia ma l’effetto della pandemia ne frena l’espansione. Nel primo semestre del 2020 il saldo tra le nuove imprese e quelle che hanno chiuso i battenti si è attestato a 6.119 unità, portando lo stock di imprese di stranieri a raggiungere il valore di 621.367 unità, l’1% in più rispetto al 31 dicembre scorso. Se confrontato con lo stesso dato del 2019, il progresso evidenzia però un forte “effetto-frenata” dovuto al Covid-19: tra gennaio e giugno dello scorso anno, infatti, il bilancio tra aperture e chiusure di imprese di stranieri aveva fatto segnare 10.205 imprese, il 40% in più rispetto al dato di quest’anno.
E’ quanto risulta dalla fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere sulle imprese di stranieri nel periodo gennaio-giugno dell’anno in corso, a partire dai dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio.
La concentrazione maggiore di imprese di stranieri continua a registrarsi in Toscana, dove il 14,2% di tutte le attività economiche ha origini fuori dall’Italia. Liguria (13,7) e Lombardia (12,6) sono le regioni che seguono da vicino, insieme a Lazio, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia (tutte oltre il 12%). Con più del 10% anche il Veneto e Piemonte. La provincia a maggior tasso di imprenditoria straniera resta saldamente quella di Prato, con una quota del 30% sul totale delle iniziative imprenditoriali locali. Molto distanziata (con il 17,3%) segue Trieste, mentre altre quattro province (Firenze, Imperia, Reggio Emilia e Milano) si collocano oltre la soglia del 15%. Nei primi sei mesi del 2020, i progressi più sensibili hanno riguardato Roma (con 832 imprese di stranieri in più tra gennaio e giugno), Milano (+515) e Torino (+499) che occupano anche le prime tre posizioni in termini di numerosità assoluta di iniziative di stranieri (rispettivamente con 70.898 nella capitale, 58.316 nel capoluogo meneghino e 27.175 in quello sabaudo).
La forma giuridica più diffusa resta quella dell’impresa individuale (475mila unità pari il 76,5% del totale, una quota di molto superiore alla media italiana, ridottasi negli ultimi decenni a circa il 52%). Poco meno di 100mila imprese di stranieri adottano invece la forma di società di capitali (96.964 unità, il 15,6% del totale).
Le attività in cui si registrano il maggior numero di inziative di stranieri sono il commercio (circa 160mila), l’edilizia (120mila) e l’alloggio e ristorazione (48mila). Guardando però all’incidenza di queste realtà sul totale delle imprese operanti in Italia, i settori con l’incidenza più elevata di imprese di stranieri sono le telecomunicazioni (32,9%) e la confezione di articoli di abbigliamento (dove si arriva al 32%).
L’imprenditoria individuale: un focus sui paesi di origine
Limitando il campo di osservazione alle sole imprese individuali (l’unica forma giuridica per la quale è possibile associare univocamente la nazionalità del titolare a quella dell’impresa), i dati restituiscono un’immagine nettamente strutturata delle provenienze degli imprenditori stranieri. La comunità più numerosa (con 63.619 attività) è originaria del Marocco, seguita da quella cinese (52.727) e da quella romena (52.014). Più distanziata la coppia Albania (34.020) e Bangladesh (30.528).
L’analisi condotta attraverso il Registro delle Imprese fa emergere, inoltre, profili molto diversi da paese a paese quanto a creazione di cluster territoriali. Ad esempio, la comunità marocchina – la più numerosa in assoluto – è poco concentrata a livello territoriale con una presenza che raggiunge il massimo a Torino, dove ha sede il 7,1% dei tutte le attività originarie da quel paese. All’opposto, comunità più piccole – come quella egiziana o del Bangladesh – si segnalano per una forte tendenza alla concentrazione territoriale, al punto che nella sola Milano si raccoglie il 43,5% di tutte le imprese con un titolare nato in Egitto e a Roma ha messo le radici il 42,3% di tutti gli imprenditori provenienti dal Golfo del Bengala. Allo stesso modo si possono delineare cluster settoriali legati ai paesi di origine dei titolari: ad esempio, l’85% della presenza senegalese è nel commercio, come anche il 70% circa di nigeriani, marocchini e albanesi, mentre opera nelle costruzioni il 59% dei romeni e il 40% degli egiziani.
Foto di repertorio