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Bari, al Policlinico screening sui pazienti a rischio cecità: agli idonei Dna terapeutico

Pubblicato da: redazione | Lun, 29 Giugno 2020 - 10:00

Parte al Policlinico di Bari lo screening genomico per i pazienti affetti da distrofia retinica ereditaria. Il progetto “Resight”, avviato in collaborazione con l’associazione regionale retinite pigmentosa, riserva ai malati la possibilità di effettuare gratuitamente un test genetico, finalizzato alla corretta classificazione della patologia e alla valutazione di idoneità per una eventuale terapia mirata.

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sanita.puglia.it

Si tratta di una possibilità rivolta a pazienti, adulti o bambini, a rischio perdita della vista dovuta a distrofia ereditaria della retina, una malattia rara, riconducibile potenzialmente a mutazioni del gene RPE65, che manifesta i primi sintomi con la riduzione della visione al buio.

Il test – un semplice prelievo salivare – sarà eseguito attraverso l’innovativa tecnologia “Next Generation Sequencing” che consente di avere sia una maggiore precisione analitica sia una refertazione più veloce. L’obiettivo dello screening è quello di valutare la possibilità di somministrare ai malati la terapia genica. In assenza di cure, infatti, i pazienti affetti da distrofie retiniche ereditarie, come retinite pigmentosa o amaurosi congenita di Leber, sono sicuramente destinati alla cecità. Per informazioni e prenotazioni è possibile inviare una mail all’indirizzo retinite@policlinico.ba.it

“I pazienti affetti da degenerazione della retina possono scriverci per avere delucidazioni e per prenotarsi per venire a effettuare il test salivare gratuito che servirà a valutare se i soggetti sono eleggibili per una terapia genica – spiega il direttore dell’unità operativa di Oculistica, prof. Gianni Alessio – è un’occasione importante per tentare di sconfiggere la malattia”.

“Esprimo un forte apprezzamento nei confronti dell’amministrazione del Policlinico di Bari e di tutto lo staff medico della clinica Oculistica per questa iniziativa – commenta Gianfranco Taurino, presidente dell’Associazione regionale retinite pigmentosa Puglia – è da 40 anni che l’associazione pugliese retinite pigmentosa spera in una cura: siamo partiti dal buio totale quando non si sapeva nulla sulla malattia, ma in 40 anni di attività, grazie all’opera di genetisti, oculisti e specialisti in malattie rare, siamo arrivati ad avere una speranza seria per la soluzione definitiva della malattia. Certo, si sta cominciando con una terapia specifica con un gene particolare, ma questo significa alimentare speranze importanti per la cura di tutte le forme di retinite pigmentosa. L’associazione pugliese retinite pigmentosa è pronta a collaborare, anche per attingere al patrimonio anagrafico dei pazienti da poter contattare”.


La terapia genica consiste nell’introdurre nelle cellule del paziente un gene che permette di curarlo. A questo scopo, il Dna terapeutico è inserito in un vettore (un virus reso innocuo), capace di veicolare il prezioso carico nelle cellule bersaglio. L’introduzione della terapia genica, ad esempio nella amaurosi congenita di Leber, ha consentito di garantire un recupero della funzione visiva in pazienti altrimenti avviati verso la cecità. Questa malattia ha una incidenza di 1-9 ogni 100.000 abitanti e mostra i suoi segni clinici intorno al primo anno di vita impedendo lo sviluppo visivo del bambino con immaginabili ricadute sulla sua vita di relazione e sulla sua integrazione socio-lavorativa. La rapida degenerazione della patologia rende necessaria una diagnosi tempestiva.

Già da circa 15 anni sono iniziati studi sperimentali attraverso l’inoculazione al di sotto della retina di materiale virale contenente il gene sano, capace di correggere l’errato percorso di sintesi del pigmento visivo e, dopo numerose validazioni clinico sperimentali, si è giunti alla realizzazione di un medicinale capace di realizzare il recupero della funzione visiva in adulti e bambini.

Il farmaco è costituito da un virus che contiene copie normali del gene RPE65. Quando è iniettato nell’occhio, il virus conduce il gene RPE65 nelle cellule della retina, rendendole in grado di produrre l’enzima mancante. Tale azione contribuisce a un migliore funzionamento delle cellule della retina, rallentando la progressione della malattia. Il tipo di virus utilizzato nel medicinale (virus adeno-associato) non provoca malattie nell’uomo. Già approvato dall’FDA americano, il medicinale è stato autorizzato dall’Agenzia Europea del Farmaco nel 2012 per l’amaurosi congenita di Leber e nel 2015 per la retinite pigmentosa.

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