“Da un giorno all’altro ci siamo trovati lontani dalle mura delle aule che prima quasi ci soffocavano e abbiamo capito che la libertà è proprio in quelle mura”. Si può riassumere in queste parole di Francesca Rana, maturanda barese del liceo Scacchi di Bari, il senso di smarrimento che studenti e docenti stanno vivendo da quando le scuole di tutta Italia sono chiuse a causa dell’emergenza coronavirus.
Francesca ha partecipato all’incontro, virtuale, organizzato dall’associazione politica e movimento culturale la Giusta Causa sul tema “Notte prima degli esami. Scuola e università alla sfida dell’emergenza”, sulla formazione scolastica nella secondaria inferiore e superiore. E’ il secondo di tre appuntamenti, dopo quello del 18 aprile sull’università. Il terzo, che chiuderà il ciclo di incontri, si terrà il 7 maggio. Si parlerà di scuola dell’infanzia e primaria.
“Com’è stato detto, il Covid-19 è un test di sistema. Questi mesi stanno realizzando una radiografia della nostra società, delle sue risorse e delle sue fragilità”, ha detto il presidente dell’associazione, Michele Laforgia, evidenziando il valore “costituzionale della scuola, luogo in cui si svolge la personalità dei cittadini, e quindi diritto inviolabile. È nella scuola che inizia la lotta alle disuguaglianze”. Laforgia ha auspicato “a partire dall’emergenza un grande investimento sociale, formativo e popolare, per costruire una scuola non passiva, nella quale gli studenti tornino protagonisti. Finita l’emergenza ci vorrebbe un’occupazione a oltranza per tornare a studiare, per riappropriarsi dell’istruzione pubblica”.
Alba Sasso, ex parlamentare ed ex assessora all’Istruzione della Regione Puglia, ha stigmatizzato “la grave assenza dello Stato. C’è un disinteresse penoso nei confronti dei temi dell’istruzione” e si è detta “commossa per la dedizione e passione con cui stanno lavorando le scuole nell’assenza totale di una scelta politica”.
Nelle testimonianze di tutti i docenti intervenuti al dibattito, da Bari, Milano, Verona e Ginevra, è stata ricorrente la preoccupazione per “il rischio che la didattica a distanza aumenti le diseguaglianze sociali” e tutti hanno evidenziato “l’assenza di chiarezza e visione da parte del Governo”.
Ad introdurre i lavori è stato Antonio De Mario, professore ai corsi serali. “Le cose – ha detto – non stanno andando bene nel mondo della scuola. Se la crisi può essere l’occasione per costruire un nuovo modello scolastico, servono risorse serie e massicce in materia di edilizia, messa in sicurezza e formazione del personale”.
Il tema degli investimenti è stato al centro anche dell’intervento di Vincenzo Rizzi, docente del liceo Scacchi di Bari. “Quello delle risorse è un discorso doloroso – ha detto – che diventa ancora più urgente oggi”, sottolineando “l’atteggiamento ondivago” dei governi e la convinzione che la “didattica a distanza non può sostituire quella in presenza, perché la lezione è una cosa viva, abbiamo bisogno di guardarci negli occhi”.
Rossella Latempa, docente di origini campane che insegna in un liceo di Verona e scrive di scuola sul Manifesto e sulla rivista Roars, si è detta “preoccupata per la pochezza delle proposte sulla riapertura”, chiedendo “la messa in mora nell’immediato di tutti i dispositivi di valutazione e un ripensamento con un dibattito ampio e democratico per scrivere una nuova pagina della scuola post-Covid”.
Giancarlo Visitilli, professore e scrittore barese, ha parlato di “scuola a distanza” come “un ossimoro”. “Ci si sta abituando alla scuola dei senza. Se questo è il pretesto – ha detto – per creare la scuola senza la scuola, senza le aule, senza il contesto, senza le persone che si toccano, io non ci sto”.
Per Angela Nava, presidente del Centro Genitori Democratici, l’emergenza ha fornito uno “strumento in più per combattere la povertà educativa, dandoci la possibilità di dare un volto ai ragazzi in difficoltà e da questo non si torna indietro. Di solito a settembre si fa ‘recupero’. Noi dovremmo risarcire i ragazzi”. Riflessione ripresa dal docente Uniba Roberto Bellotti, secondo il quale “dobbiamo inventarci qualcosa, di notte o al mare, perché questo non sia un anno scolastico perso”.
Enzo Mansueto, professore e scrittore di Bari, ha espresso il “timore che la didattica a distanza possa favorire una geometria verticistica dell’insegnamento. Non vorrei che nelle more dell’emergenza, a qualche burocrate saltasse in mente che la scuola si può fare così, smaterializzando docenti, studenti e futuri cittadini”.
Francesca Bari, docente a Milano, ha portato la sua esperienza di insegnamento in una delle zone più rosse del Paese, dal punto di vista dell’emergenza sanitaria. “Ci siamo trovati ad entrare ogni mattina nelle case degli studenti con delicatezza, perché in molte di quelle case c’erano malati o c’erano stati morti. Abbiamo lavorato ore con la colonna sonora perdurante del suono delle ambulanze, che ha creato uno stato di trauma, di paura, che dovremo sanare”.
Da Ginevra è arrivata la testimonianza di Jacopo Nardulli, docente di fisica e chimica. Anche lì, il timore di docenti e istituzioni è quello che “la chiusura delle scuole aumenti disuguaglianze e differenze sociali”.
Antonello Natalicchio, dirigente scolastico, ha spiegato la “mappa precisa delle criticità” venute in evidenza a causa dell’emergenza sanitaria: “il divario tecnologico tra gli alunni, la scomparsa della cattedra come trauma per i docenti, il rapporto con i pari non soggetto al controllo dei docenti, perché i ragazzi crescono attraverso l’interazione tra di loro, in questo momento veicolata solo attraverso software”.
Letizia Carrera dell’Università di Bari ha presentato gli esiti, ancora parziali, della sua ricerca dal titolo “Gli studenti raccontano l’emergenza”, con questionari somministrati a 1200 studenti pugliesi, prevalentemente delle scuole superiori. E’ emerso che “metà degli studenti parlano di una qualità della vita peggiorata”, “il 70% dà un giudizio positivo sulla didattica a distanza, pur ritenendo che non inciderà positivamente sull’apprendimento e quasi tutti sono convinti che crei un rischio per quelli più fragili, il rischio che scompaiano dietro gli schermi e dietro microfoni spenti”.
Foto facebook Michele Laforgia