Diabete: uno studio ha dimostrato che esistono due forme diverse del tipo 1 e ciò potrebbe condurre a possibili risvolti positivi nella ricerca di una cura della malattia metabolica.
È quanto emerso dagli studi effettuati dai ricercatori dell’Università di Exeter, nel Regio Unito, pubblicati recentemente su Diabetology, rivista dell’Associazione europea per lo sviluppo del diabete. Gli scienziati, sono riusciti a dimostrare, per la prima volta, che mentre nei bambini di età inferiore ai sette anni è presente la variante T1DE1 della patologia, nei pazienti con più di tredici anni si manifesta invece l’endotipo T1DE2. La ricerca, effettuata analizzando i campioni di tessuto pancreatico asportato da oltre 120 bambini e ragazzi con diabete di tipo 1, ha dimostrato, nello specifico, che nel caso dell’endotipo 1, l’organismo non è in grado di processare in maniera corretta la proinsulina – proteina prodotta nelle isole di Langerhans dalle cellule β del pancreas – con la conseguenza di una rapida distruzione delle unità biologiche che la producono. Diverso quello che accade nel caso dell’endotipo 2, in cui, invece, la produzione dell’ormone, nella maggior parte dei casi, prosegue in maniera regolare. Anche in questo caso però si verifica la distruzione autoimmune delle cellule del pancreas, utili per produrre proinsulina e insulina.
La ricerca offre nuove opportunità di risposte e apre spiragli a ulteriori studi, finalizzati al rinvigorimento delle cellule dormienti che producono insulina, tali da rendere efficace il loro funzionamento nel corso del tempo. Secondo gli studiosi, infatti, non sono da escludere nuove speranze per quanto concerne la ricerca di cura e prevenzione per il diabete, malattia cronica caratterizzata da un’eccessiva quantità di glucosio nel sangue, condizione causata da un difetto di funzionalità o di produzione da parte del pancreas di insulina, ormone che ha il compito di regolare il livello di glucosio nell’organismo. “Essere riusciti a dimostrare che esistono due endotipi del diabete di tipo 1 ci riempie di entusiasmo – spiega il professor Noel Morgan, ricercatore dell’Università di Exeter – questa scoperta potrebbe aiutarci a capire cosa causa la malattia e a sbloccare nuove strade per impedire alle future generazioni di bambini di contrarre il diabete di tipo 1. Potrebbe anche portare a nuovi trattamenti, se trovassimo il modo di riattivare le cellule dormienti che producono insulina nella fascia di età più avanzata”.
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