Dopo la dichiarazione di inagibilità dell’ex Palagiustizia di via Nazariantz, nel maggio 2018, «nella erronea convinzione che la tenda potesse sopperire, temporaneamente, alle esigenze degli operatori del diritto» il Ministero, secondo il giudice, ha «determinato una lesione alla reputazione professionale dell’avvocato, intesa come il diritto al proprio decoro nell’ambiente di lavoro il cui lo stesso operava». Lo si legge nella sentenza con la quale il giudice di pace di Bari ha condannato il ministero di Giustizia a risarcire all’avvocato Ascanio Amenduni mille euro di danni d’immagine per le udienze celebrate nelle tendopoli.
«Nel complesso caso, e unico nel suo genere, che ci occupa, occorre partire da un dato oggettivo – ricostruisce il giudice nella sentenza – che sin dal gennaio 2015, dopo 70 anni, con il trasferimento dai Comuni, il Ministero della Giustizia diveniva il titolare della gestione e manutenzione delle sedi giudiziarie». Ma anche prima del 2015, «al Ministero era ben noto uno stato di crisi» della edilizia giudiziaria barese, penale e civile, e in particolare del Palagiustizia di via Nazariantz, certificato da quattro perizie tecniche redatte a partire dal 2012, fino all’ordinanza sindacale del 31 maggio 2018 di revoca di agibilità dello stabile «per inidoneità strutturale e serio pericolo di crollo».
«L’obbligo di tutela della sicurezza e incolumità degli utenti giudiziari – spiega – non può essere, per l’importanza e per il rango costituzionale della tutela degli interessi in gioco, delegato al territorio locale o addirittura alla proprietaria (Inail, ndr)» e l’avvocato, «quale parte importante dell’ingranaggio giudiziario, ha ingiustamente patito quel silenzio amministrativo costituito dalla consapevolezza delle gravi condizioni della giustizia penale barese e assenza di provvedimenti amministrativi finalizzati a creare le condizioni minime per l’esercizio dell’attività forense penale».
«L’ingiustizia arrecata al professionista – aggiunge – è tale e rilevante in quanto le attività giudiziarie svolte all’interno della tensostruttura, che la stampa ha definito per mesi con succinta ironia ‘tendopolì, posta nell’area antistante la struttura pericolante, sono state particolarmente lesive della dignità dell’avvocato». Il giudice ha però rigettato la domanda di danno economico per il «mancato guadagno» dovuto al rinvio delle udienze in quel periodo, ritenendo che «al più spetterebbe ai ‘clienti-cittadinì contestare le lungaggini processuali sotto il profilo della violazione dei principi, costituzionalmente garantiti, della ragionevole durata dei processi».
“L’idea – spiega Amenduni – mi è venuta vedendo la condizione di tanti colleghi penalisti lasciati in grave difficoltà dai ritardi e dalle decisioni del ministero di Giustizia, senza accordare loro neppure un qualche sostegno o un qualche ristoro per dover lavorare sotto le tende o addirittura per dover smettere di lavorare. Tutto questo non poteva rimanere privo di una reazione giudiziaria. Questo provvedimento è destinato a creare un precedente a difesa della dignità e del prestigio della toga». (Ansa)