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La mafia nigeriana con radici a Bari e provincia: dal Cara fino all’estero, come si sono evoluti i clan

Pubblicato da: redazione | Mar, 3 Dicembre 2019 - 10:00

L’odierno provvedimento cautelare giunge al termine di circa due anni di laboriose indagini (2016-2018) in cui gli investigatori della Sezione Contrasto al Crimine Extracomunitario e Prostituzione hanno faticosamente ricostruito la rete di rapporti tra numerosi cittadini nigeriani stanziati in Bari e provincia, sia dentro che fuori dal C.A.R.A, spesso in posizione irregolare sul territorio nazionale.

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Fino a quel momento, infatti, soltanto nell’anno 2013, in Bari, è stata operativa una cellula dei “Black Axe”, anche se, al di là di sporadiche risse e scontri tra bande, non è mai stata documentata una attività di tipo associativo, con caratteristiche organizzativo-comportamentali tali da determinare la sua mafiosità.
Quanto alle due confraternite oggetto degli odierni provvedimenti cautelari,  i Vikings” e quella degli “Eyie”, si rileva che è stato particolarmente complicato penetrare nella loro cultura, delineare le gerarchie ed i ruoli, decriptare il loro linguaggio, incontrando molto spesso obiettive difficoltà connesse all’assenza di interpreti liberi da forme di condizionamento nei confronti della loro comunità. Durante il periodo delle indagini, le presenze di nigeriani all’interno del C.A.R.A. si attestavano in circa 600 unità. Nell’attualità gli ospiti sono poco meno di un centinaio.

La presenza delle gang nigeriane in forma associativa costituisce una realtà sempre più diffusa sul territorio nazionale, sebbene la loro esistenza ed operatività sia di difficile accertamento. Basti pensare alla crescita esponenziale dei flussi di denaro dall’Italia verso la Nigeria rilevatasi nel corso degli ultimi anni: soltanto nell’anno 2018, le rimesse di denaro dall’Italia alla Nigeria, come rilevato dalla Banca d’Italia, sono state pari a 74,79 milioni di euro, corrispondenti al doppio di quelle dell’anno 2016. E ciò sul dato di una popolazione nigeriana presente in Italia stimato, alla data del 30.06.2019, in circa 105 mila presenze, in prevalenza uomini e senza contare che la comunità dei nigeriani ha in Italia il più basso tasso di occupazione ( 45,1% in confronto al 59,1% dei non comunitari ) ed il più alto tasso di disoccupazione (34,2% contro il 14,9 dei non comunitari).
E’ in costante aumento, tra l’altro, anche il numero di donne nigeriane sbarcate in Italia: basti pensare che nel 2013 sono sbarcate nel nostro paese n.433 giovani donne nigeriane, fino ad arrivare, soltanto a metà dell’anno 2017, a più di 5000 unità.

In vista dell’esecuzione della custodia cautelare, nelle ultime settimane, la Squadra Mobile di Bari ha svolto una meticolosa attività di ricerca degli indagati sul territorio nazionale e, tramite il coordinamento del Servizio Centrale Operativo e l’ausilio di molte Squadre Mobili, è riuscita ad individuare le dimore di quei soggetti che nel frattempo avevano lasciato Bari dopo i fatti di violenza più cruenti in cui erano state coinvolte le gang. Allo stesso modo, le attività informative ed i canali di collegamento con le autorità estere, opportunamente attivati dalla Divisione Interpol del Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia, hanno consentito di individuare i Paesi UE, tra cui Germania, Francia, Olanda e Malta, in cui altri appartenenti alle confraternite nigeriane si erano di recente trasferiti.

I metodi punitivi. Entrambe le compagini si sono connotate per la solidità del vincolo associativo, la programmazione di reati fine di varia natura e per un capillare e costante controllo da parte dei ‘capi’ per il rispetto dei ruoli e delle regole, con l’applicazione di cruenti metodi punitivi ogni qualvolta si rendesse necessario per ristabilire gli equilibri compromessi. I due gruppi hanno dimostrato di possedere una struttura rudimentale quanto ai mezzi adoperati, ma solidissima dal punto di vista della ideologia, della organizzazione e dei reati da perseguire, senza cercare in alcun modo aderenze con le mafie locali (dando prova, quanto allo sfruttamento della prostituzione, di supremazia anche nei confronti delle bande composte da albanesi e rumeni).

Tra l’altro, i dati pian piano acquisiti alle indagini si sono dimostrati perfettamente sovrapponibili agli esiti investigativi che, nel frattempo, molte altre Squadre Mobili in Italia hanno sviluppato in quel periodo, a conferma del fatto che la mafia nigeriana si è radicata i molte zone del territorio nazionale (dal Veneto alla Sicilia, dal Piemonte alla Campania, dalle Marche alla Puglia) con numerosi insediamenti di cellule di ispirazione cultista, tutte votate a perseguire i medesimi obiettivi delinquenziali e tutte operanti secondo le classiche metodologie mafiose improntate alla violenza, all’assoggettamento e all’omertà.
Già nel 2011 l’Ambasciata Nigeriana a Roma emanava una nota in cui si leggeva “ nuova attività criminale di un gruppo di nigeriani appartenenti a sette segrete, proibite dal governo a causa di atti violenti: purtroppo ex membri sono riusciti ad entrare in Italia e hanno fondato nuovamente l’organizzazione qui, principalmente con scopi criminali”.
La voluminosa informativa di reato depositata dalla Squadra Mobile alla Procura della Repubblica nell’aprile del 2019, nella quale sono state individuate responsabilità a vario titolo di ben 50 cittadini nigeriani per i reati sopra descritti, ha ben evidenziato le forme organizzative delle due associazioni criminali.

Le gang in esame – inquadrate nel più ampio scenario internazionale delle confraternite universitarie sorte in Nigeria agli inizi degli anni ’50 per contrastare una Università di élite frequentata solo da studenti facoltosi, legati al mondo coloniale – erano volte a favorire gli studenti poveri promettenti, per poi, negli anni ’70/’80, essere finanziate ed armate dai leader militari. Esse sono strutturate in forma verticistica e militare, e traggono la loro forza dall’intimidazione, dalla violenza e dall’assoggettamento omertoso inculcato nelle vittime; si caratterizzano, al pari delle mafie nostrane, per i rituali di affiliazione – paragonabili a vere e proprie prove di forza difficilmente superabili, in quanto basate su primitive pratiche di sofferenza corporale – per l’utilizzo di codici interni e di vocaboli pregni di un simbolismo pressoché incomprensibile, e per una rigida suddivisione dei ruoli, così da risultare impenetrabili ed altamente efficienti.
Quello che ne è emerso è stato, in estrema sintesi, il quadro di uno ‘Stato dentro lo Stato’, fatto di proprie regole e totalmente incurante delle leggi, ma anche di molte basilari norme di convivenza civile.

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