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Bari, la mafia nigeriana imponeva il pizzo ai mendicanti. Lettera d’aiuto dal Cara

Pubblicato da: redazione | Mar, 3 Dicembre 2019 - 13:30
mafia nigeriana

Dai mendicanti loro connazionali, i mafiosi nigeriani arrestati oggi dalla polizia di Bari, pretendevano il pizzo per l’occupazione delle postazioni davanti ai supermercati di Bari e provincia con canoni mensili o ricariche telefoniche. E’ una delle attività illecite documentate nell’inchiesta della Dda di Bari che ha portato all’arresto di 32 cittadini nigeriani, appartenenti a due distinte gang cultiste, «propaggini – hanno spiegato gli inquirenti della Dda – delle storiche confraternite nigeriane nate negli anni ’70 in ambienti universitari».

Le due gang erano strutturate in forma verticistica e militare, «contraddistinte da ferocia e spietatezza». Sono stati accertati – è stato detto dagli inquirenti – «casi di inaudita violenza nei confronti di coloro che non accettavano di aderire alle confraternite o che non ne rispettavano le regole. Le vittime hanno raccontato agli investigatori di veri e propri pestaggi, frustate, pugni, calci e bastonate con l’utilizzo di spranghe, mazze e cocci di bottiglia». Dall’inchiesta è emersa anche la convivenza pacifica, senza collaborazioni criminali, con i clan mafiosi baresi. «I due gruppi nigeriani – dice la Dda – hanno dimostrato di possedere una struttura rudimentale quanto ai mezzi adoperati, ma solidissima dal punto di vista della ideologia, della organizzazione e dei reati da perseguire, senza cercare in alcun modo aderenze con le mafie locali, dando prova, quanto allo sfruttamento della prostituzione, di supremazia anche nei confronti delle bande composte da albanesi e rumeni».

Agli atti dell’indagine della Dda di Bari sulla mafia nigeriana ci sono due lettere con richieste di aiuto, del marzo e del maggio 2017, inviate alla Polizia di Bari dal pastore spirituale del Cara di Bari e da alcuni ospiti del centro di accoglienza che si sentono in pericolo per la presenza dei clan mafiosi nigeriani che controllano la struttura. «Per favore proteggeteci, – scrive il pastore – perché passando queste informazioni stiamo mettendo le nostre vite in pericolo. Imploriamo il governo italiano di proteggerci perché non eravamo al sicuro in Nigeria, per questo siamo scappati, e ora in questo centro non siamo al sicuro a causa di queste sette».

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