Da circa un ventennio si è delineata una nuova forma di attenzione verso le regole alimentari che si concentra sulla scelta del cibo e sulle sue caratteristiche. Si tratta dell’ortoressia che in Italia registra 300mila casi a prevalenza maggiore negli uomini (11.3% contro 3.9% nelle donne, fonte Ministero della Salute).
“Si tratta di una specie di ossessione verso la scelta del cibo affinché sia corretta rispetto al proprio appetito (orthos, corretto e orexis, appetito) – spiega Alessandro Bertirotti, antropologo della mente – ‘l’Associazione psichiatrica americana (APA) non l’ha ancora inserita nel DSM-5, il principale manuale per la diagnostica e la catalogazione internazionale dei disturbi mentali”.
“Una persona gravemente ossessionata dal cibo finisce spesso per isolarsi da chi non condivide le stesse abitudini e la conseguente chiusura sociale può essere una strategia di difesa più o meno consapevole che mira a proteggere dalle tentazioni oppure l’effetto di un complesso di superiorità”, aggiunge Annarosa Aresta, psicologa e psicoterapeuta cognitivo/comportamentale.
Risale al 1997 la proposta del dietologo Steve Bratman di definire in questo modo il particolare disturbo alimentare. E dopo circa un ventennio se ne parla più frequentemente sui media.
“Sono proprio i media – continua Bertirotti – a proporre di riflettere su questo comportamento che sembra diffondersi velocemente e verso il quale, dal punto di vista medico/scientifico, è meglio essere cauti prima di pensare di essere di fronte ad una severa patologia. Non dobbiamo dimenticare che esistono manifestazioni della propria individualità che si presentano come tratti e stati. Nel primo caso, la mente ed il corpo rispondono a stimoli ambientali e personali con comportamenti e reazioni frutto di un preciso contesto e periodo storico. Nel secondo caso, questa reazione si struttura profondamente nella mente e diventa stile di vita. Perciò, l’attenzione spasmodica ad una alimentazione che procuri salute, oppure che la mantenga, può essere un tratto della propria esistenza, oppure uno stato. Solo in questo ultimo caso, siamo di fronte ad una patologia di interesse psichiatrico”.
Come si manifesta?
“L’ortoressico – aggiunge Aresta – si preoccupa della fonte (se i vegetali sono stati esposti a pesticidi o se i latticini provengono da mucche sottoposte all’uso di ormoni), qualità (se le proprietà nutrizionali sono perse durante la cottura, o se sono stati aggiunti micronutrienti, aromi artificiali, o conservanti), imballaggio (se il cibo contiene componenti cancerogeni derivati dalla plastica o se le etichette informano adeguatamente sulla qualità degli ingredienti), lavorazione (utensili da cucina utilizzati, tipo di cottura). Inoltre, l’ortoressico – dopo lunghe e meticolose pianificazioni dei pasti giornalieri – trascorre molto tempo nei supermercati alla ricerca e analisi del c.d. cibo puro”.
Qual è la ragione del disturbo dal punto di vista antropologico/mentale?
“Siamo in presenza – prosegue Bertirotti – di una patologia del benessere, dello sfrenato consumo sempre più bulimico del cibo perché simbolicamente rappresenta la certezza della propria ricchezza economica, dei propri status e ruoli nel mondo sociale. L’ortoressico diventa l’espressione, più raffinata e ricca, delle proprie scelte alimentari, il desiderio di conservare a lungo, nel proprio corpo e nella propria mente, quel benessere giovanile e quasi perfetto che viene tanto osannato nella nostra società. Essere sani significa dimostrare di esserlo secondo una serie di scelte che siano radicali ed espressione di una volontà precisa, frutto anche di adesioni ideologiche a movimenti di pensiero nei quali gli individui riempiono il proprio vuoto emotivo con comportamenti originali ed esasperati. In linea generale, anche se non possiamo considerarla una regola, le persone che ostentano convinzioni e comportamenti evidenziano la deficienza di ciò che palesano forzatamente”.
Quali sono i fattori scatenanti?
“Gli studiosi – risponde Aresta – distinguono fattori partecipanti e predisponenti. Tra i primi distinguiamo delusioni sentimentali, lutti, separazioni genitori, malattie, diete. Ai secondi – divisi tra individuali e socioculturali -appartengono: perfezionismo, rigidità, difficoltà di autoregolazione, bassa autostima, spinta al controllo. Ma anche la cultura del benessere, ideale di salute, dieta non più come misura di benessere ma come condizione dell’essere, un Occidente che ha smesso di temere la fame e vive l’abbondanza come una colpa”.
Che ruolo ha l’amore in questo disturbo?
Bertirotti: “L’essere umano vive per essere amato e per amare. Non è possibile amare se non siamo stati educati ad accogliere l’amore che proviene dall’esterno. Siamo amati dai nostri genitori e dal nucleo familiare che ci accoglie e l’amore ricevuto ci insegna a ricambiare secondo il principio della reciprocità. Alcuni neuroni che gestiscono questo rapporto affettivo si chiamano serotoninergici, ossia funzionano producendo serotonina, un neurotrasmettitore che entra in circolo quando ci alimentiamo e quando facciamo l’amore. Ecco perché il cibo e la sessualità sono sempre due realtà molto legate fra loro, facce della stessa medaglia: la vita, nella sua totalità e qualità. Un disordine alimentare è quasi sempre di natura affettiva, relazionale e sessuale. La sintonia tra questi elementi deriva, antropologicamente, dalla necessità di garantire alla specie l’esercizio sano, sereno e tranquillo, del procacciamento del cibo e del piacere. Il cibo, ingerito senza manie, fobie od ossessioni, è come il sesso: segna il primo passo per una solidarietà affettiva che può o meno diventare amore”.
C’è misticismo in questo disturbo?
Aresta: “Parafrasando Marino Niola in Homo Dieteticus (ed. Il Mulino) l’ortoressico pensa che se una volta eravamo noi a fare la nostra dieta adesso è la nostra dieta a fare noi. L’ortoressia è diventata una pratica fisica, ma anche morale, che riguarda salute e salvezza, corpo e anima. Una forma di fede alimentare. Una religione senza Dio fatta di rinunce spontanee, penitenze laiche, sacrifici che hanno a che fare più con la coscienza che con la bilancia, fioretti secolarizzati di una civiltà che considera la depurazione del corpo alla stregua di un drenaggio dell’anima. Col risultato di espellere dalla tavola la dimensione del piacere, della convivialita, dello scambio. Insomma, l’ortoressia porta verso una società sempre meno capace di amare gli altri e sempre più concentrata in una sorta di narcisismo esagerato che ci isola dal mondo per ripiegarci su se stessi come fossimo noi il centro del mondo. E a vivere da malati per morire sani”.