Il biologico cresce nel vigneto Italia e nelle scelte di consumo degli enoappassionati. Un consumatore su quattro entra in enoteca e nel punto vendita e chiede specificatamente informazioni sui vini biologici a scaffale.
Il restante 75% si dimostra open mind rispetto a questa scelta al calice e si lascia «convertire» alle etichette bio se consigliato dal personale, che si dimostra sempre più determinante sulle scelte del consumatore. È il risultato di una ricerca dedicata ai vini Bio realizzata da Signorvino, nei 16 punti vendita in Italia. Ma il fenomeno è su scala nazionale: in pochi anni gli italiani sono passati dalla diffidenza per sentori talvolta pochi puliti alla passione vera per i vini col bollino verde, anche se gli operatori lamentano ancora tanta confusione tra vini biologici e vini naturali.
I nostri wine-lover prediligono sempre di più i calici bio, al punto da passare, come ha sottolineato un’analisi su dati Iri del responsabile Nomisma Wine Monitor Denis Pantini, presentata in un recente convegno a Fano sul Bianchello del Metauro, da un volume di acquisti totali al supermercato e nella distribuzione moderna (Gdo) per 7,2 milioni di euro nel 2014 ai 32,3 milioni di euro nel 2018. E questo cambiamento nei trend di consumo, a detta dell’esperto analista, è ben supportato dalle scelte in vigna operate dagli imprenditori vitivinicoli. In particolare, la geografia dei vigneti bio vede, secondo dati Wine Monitor sugli impianti al 2017, primeggiare in assoluto la Sicilia (35%), seguita a distanza da Puglia (14%), Toscana (14%), Marche e Veneto (5%), Calabria e Abruzzo (4%), oltre a un 20% che contempla tutte le altre regioni. Tuttavia la classifica cambia, ha evidenziato Pantini, prendendo in considerazione la percentuale di vigne bio sul vigneto totale regionale: primato alla Calabria (41,6%), e poi Sicilia (36%), Marche (30,9%), Toscana (22,8%), Basilicata (19,5%), Puglia (16,7%), Lombardia (15,7%), Lazio (13,1%) e Abruzzo (12,2%).
E secondo l’indagine «Mercato Italia – Gli italiani e il vino», realizzata da Vinitaly con l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, tra i criteri di scelta, il territorio di produzione la spunta su denominazione e vitigno. Assieme sommano il 61% delle risposte e si rivelano molto più importanti di prezzo, brand aziendale, consigli di sommelier e caratteristiche green. Mentre tra i ‘saranno famosì nei prossimi 2-3 anni, i consumatori indicano gli autoctoni (28%), i biologici (19%), i vini veneti, piemontesi, toscani, pugliesi e siciliani e quelli leggeri, facili da bere e da mixare. Intanto anche anche la Franciacorta, il terroir bresciano dove dal 1961 si producono rinomate bollicine Metodo Classico, è sulla via della conversione alla green economy: «In Franciacorta il 70% del vigneto è oggi in conversione bio» ha detto Arturo Ziliani, proprietario coi fratelli, della Guido Berlucchi Spa che nel 2006 ha avviato un percorso green sugli 85 ettari di vigneti di proprietà oltre ad altri circa 500 ettari in conferimento, adottando poi il progetto Biopass per la misura, la salvaguardia e l’incremento della biodiversità in viticoltura. Del resto la sostenibilità è di casa da Nord a Sud, dalle aziende associate al Consorzio dei vini della Valpolicella al distretto del Nobile di Montepulciano fino a Salina. Con la grande voce di Katia Ricciarelli sono stati celebrati in questi giorni 20 anni di coltivazione Bio dell’Azienda Agricola La Jara. Massimo Marion a Mareno di Piave come Josko Gravner in Friuli sono tra i produttori apripista, convertiti al bio dopo un trattamento sbagliato, hanno riconosciuto che la «Natura è una macchina perfetta, nostro il compito di assecondarla» (notizia Ansa).