La Polizia di Stato, a Bari, nei comuni limitrofi, a Milano, Taranto ed in diverse carceri della penisola, ha eseguito 27 ordini di esecuzione pena (per complessivi residui 145 anni) emessi dalla Procura Generale di Bari, susseguiti alla decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha confermato l’intero impianto accusatorio del processo a carico di Cosimo Di Cosola più altri 45 imputati, rendendo definitive le pesanti condanne emesse dalla Corte di Appello.
Cosimo Di Cosola, classe ’72, è stato condannato alla pena residua di anni 21 e mesi 1 di reclusione. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, commercializzazione di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, porto e detenzione di arma da fuoco, anche da guerra, con l’aggravante del metodo mafioso.
L’attività d’indagine, denominata “Operazione Hinterland II”, avviata nel maggio del 2011 e conclusasi nell’agosto del 2013, coordinata dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia, ha documentato l’alleanza tra i clan Di Cosola e Stramaglia, all’epoca in contrasto, anche armato; i clan anche a causa di numerosi provvedimenti giudiziari che ne indebolirono il nucleo strutturale, ed in seguito all’intervento pacificatore di importanti esponenti del clan “Parisi”, decisero di intraprendere un percorso di non belligeranza e di comune gestione dei propri illeciti affari, in particolare nella commercializzazione di sostanze stupefacenti.
L’associazione di stampo mafioso, dopo l’arresto del suo boss, Antonio Di Cosola, si riorganizzò sotto l’egida del fratello di quest’ultimo, Cosimo, scarcerato nel 2010. Le attività di indagine permisero di accertare come il clan fosse composto da diverse articolazioni, tutte gerarchicamente strutturate e facenti capo al medesimo capo, territorialmente distribuite con operatività nei comuni di Bari, Valenzano, Giovinazzo, Triggiano, Bisceglie, Sannicandro di Bari, Bitritto, Rutigliano, Palo del Colle, Adelfia e zone limitrofe, i cui responsabili erano tenuti, periodicamente, a rendere conto ai vertici dell’organizzazione dell’andamento degli affari illeciti – in particolare, della commercializzazione di sostanze stupefacenti e delle estorsioni – ovvero dell’esistenza di eventuali contrasti con altri sodalizi criminali, ricevendo ordini e direttive al riguardo; i responsabili dell’organizzazione criminale, a loro volta, garantivano la divisione dei proventi tra gli affiliati, l’aiuto economico e la garanzia di assistenza legale, in occasione di arresti o vicende giudiziarie che di volta in volta coinvolgevano i sodali.
Fu dimostrato come la complessa struttura criminale poteva contare su un significativo arsenale bellico – nel corso dell’indagine vennero sequestrati un fucile mitragliatore kalashnikov, una mitraglietta Skorpion, ben 19 pistole di vario calibro ed oltre 1000 munizioni, decine di migliaia di euro e diversi Kg. di sostanza stupefacente del tipo hashish, cocaina e marijuana – ed operava su distinte piazze di spaccio, ciascuna diretta da un proprio referente, rifornendosi delle partite di droga attraverso propri canali di approvvigionamento, con significative sinergie con trafficanti operanti nel tarantino, nel leccese e nel veronese.
ati.