La Commissione Europea non commenta la decisione della Banca Popolare di Bari di avanzare una richiesta di risarcimento danni nei suoi confronti, dopo che il Tribunale dell’Ue, il 19 marzo scorso, ha annullato la decisione della stessa Commissione sul salvataggio di Banca Tercas, nel quale la popolare barese era coinvolta.
«Semplicemente non abbiamo commenti su questa intenzione», ha risposto durante il briefing con la stampa a Bruxelles il portavoce della Commissione per la Concorrenza Ricardo Cardoso, dopo che la domanda era già stata fatta ieri, ottenendo come risposta che la Commissione non era al corrente della decisione della Popolare di Bari, pure annunciata il 10 maggio con un comunicato stampa. Il portavoce ha poi spiegato che la Commissione non ha ancora deciso se proporre ricorso contro la decisione della Corte di annullare la decisione della Commissione stessa su Tercas: «La scadenza non è ancora finita. Prenderemo decisioni» entro la data ultima, «ma non ci La vicenda Tercas, apparentemente tecnica, ha avuto conseguenze molto rilevanti in Italia, sia a livello finanziario che politico.
In pratica, la Commissione considerò come aiuto di Stato l’intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd) a copertura del deficit patrimoniale di Tercas, acronimo che indica la Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo. La banca dal 2012 si trovava in amministrazione straordinaria e aveva una quota di mercato pari allo 0,1% del totale delle attività bancarie in Italia. Grazie all’intervento del Fitd, che decise di coprire il deficit patrimoniale di Tercas e di fornire alcune garanzie (per un totale di circa 300 mln di euro), la Popolare di Barisottoscrisse l’aumento di capitale della banca teramana. L’operazione venne poi approvata dalla Banca d’Italia. Ma nel dicembre 2015 la Commissione stabilì che le misure, a suo parere, costituivano un aiuto di Stato incompatibile con le norme Ue. Tra l’altro, l’esecutivo Ue sottolineava, all’epoca, che «i creditori subordinati (vale a dire gli obbligazionisti subordinati, ndr), contrariamente a quanto richiesto dai principi di ripartizione degli oneri, non hanno minimamente contribuito ai costi di ristrutturazione».