Alcuni centri commerciali hanno deciso di restare chiusi a Pasqua ma di lavorare i giorni di Pasquetta, del 25 aprile e del primo maggio. E scoppia la polemica dei sindacati che chiedono la tutela dei lavoratori nei giorni di festa: proclamato uno sciopero per le giornate del 21, 22, 25 aprile e del primo maggio.
“Le organizzazioni sindacali della Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs UIL Puglia, ribadiscono la contrarietà alle aperture dei negozi, supermercati, iper e centri commerciali in prossimità delle festività nazionali e chiedono il rispetto dei valori espressi nelle festività civili e religiose, per le persone e le famiglie intere. Nonostante le promesse elettorali e i diversi disegni di legge presenti in parlamento, i sindacati – si legge nella nota – devono riscontrare che l’azione del Governo si è inspiegabilmente fermata, continuando a lasciare mano libera alle multinazionali del settore con le aperture dei centri commerciali. Non è accettabile l’atteggiamento intrapreso dalle aziende della Grande Distribuzione organizzata, dalla Confcommercio, dalla Confesercenti e Federdistribuzione che hanno di fatto peggiorato le condizioni di lavoro e vita familiare dei lavoratori e delle lavoratrici”.
I sindacati ribadiscono il no al lavoro durante le feste. “Il commercio nelle festività – continuano – non è indispensabile. Non ha dal 2012 creato nuova occupazione! Le lavoratrici, i lavoratori i giorni di Pasqua, Pasquetta, Festa della Liberazione e la Festa dei Lavoratori le devono trascorrere con le loro famiglie! La nostra protesta continua per restituire diritti e dignità sottratti in nome di una liberalizzazione che doveva portare aumento del Pil ma che di fatto ha determinato tanti abusi e soprattutto tanto precariato, ritenendo indispensabile una regolamentazione delle aperture per restituire ai territori una sostenibilità reale”.
I sindacati invitano i lavoratori che hanno la prestazione festiva nel turno di contratto individuale di lavoro e i lavoratori che non hanno la prestazione festiva nel contratto individuale di lavoro a “non dare la propria disponibilità ad effettuare la prestazione in quanto non obbligatoria”, conclude la nota.