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Uccisi da un parassita oltre 7mila esemplari di Pinna Nobilis nel Mar Piccolo di Taranto: la ricerca dell’Università di Bari

Pubblicato da: redazione | Lun, 8 Aprile 2019 - 18:00

Uno studio dei ricercatori di Medicina Veterinaria e di Biologia dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro ha svelato il segreto della mortalità di Pinna nobilis nel mar Mediterraneo. Un parassita, Haplosporidium pinnae, la causa di estinzione di questa specie protetta di mollusco bivalve.

La ricerca di due team dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro guidati da Domenico Otranto, professore di Parassitologia e Malattie Parassitarie e Direttore del Dipartimento di Medicina Veterinaria, e Angelo Tursi, professore di Ecologia del Dipartimento di Biologia, in collaborazione  con la Prof.ssa Marialetizia Fioravanti e la Dr.ssa Perla Tedesco (Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, dell’Università di Bologna) ha svelato il segreto della mortalità di migliaia di Pinna nobilis presenti nel Golfo di Taranto (Mar Ionio).

Anche nota come nacchera, pinna comune, cozza penna o stura, Pinna nobilis è il più grande mollusco bivalve del Mar Mediterraneo. Gli esemplari di P. nobilis vivono ad una profondità che si aggira tra 0,5 e 60 m e possono raggiungere l’età di 27 anni e le dimensioni di 120 cm.

“Questa è una specie endemica delle nostre acque che svolge un importante ruolo per l’ecosistema marino: filtra grandi volumi di acqua e fornisce un substrato idoneo alla crescita di altri organismi. Si tratta di una specie bentonica, il cui corpo, di forma triangolare, presenta l’apice infisso nella sabbia o, in genere, nei sedimenti ed è ancorato al substrato, spesso rappresentato dalle praterie di Posidonia oceanica, mediante l’ausilio del bisso marino prodotto in grande quantità dalla stessa nacchera”, ha spiegato il Prof. Tursi, da anni impegnato nello studio di questo interessantissimo bivalve.

“Pinna nobilis è una specie sensibile ai cambiamenti ambientali e alle minacce antropiche come, ad esempio, gli alti livelli di urbanizzazione, gli scarichi urbani e industriali. Per tutti questi motivi, P. nobilis è una specie protetta e la sua raccolta è illegale a partire dagli anni ‘90” ha aggiunto il Dr Giovanni Chimienti (assegnista di ricerca presso il  Dipartimento di Biologia di UniBa e cautore del lavoro scientifico).

Recentemente sono stati registrati, in Spagna, episodi di alta mortalità in diverse popolazioni di P. nobilis. Successivamente, dopo un breve silenzio invernale, la moria è ricominciata nell’estate 2018, interessando, questa volta, esemplari presenti in Italia, in Francia e, ancor più di recente, in Grecia. In seguito a questi episodi di alta mortalità, che hanno impoverito le popolazioni selvatiche di questa specie, P. nobilis è da considerarsi, ad oggi, specie fortemente vulnerabile e a rischio di estinzione di numerose aree del bacino mediterraneo.

Nell’ultimo anno sono improvvisamente morti più di 7000 esemplari nel solo Mar Piccolo di Taranto ma questa moria dovuta alla parassitosi, ha interessato ampie aree del Golfo di Taranto nonché numerose aree italiane, comprese Aree Marine Protette come Porto Cesareo e Tavolara. La causa di morte di questo bivalve è stata quindi studiata presso i laboratori di parassitologia del Dipartimento di Medicina Veterinaria dove gli esemplari di P. nobilis sono stati analizzati con metodiche di diagnosi molecolare all’avanguardia. “In seguito ad analisi parassitologiche, batteriologiche ed istopatologiche effettuate su esemplari moribondi di P. nobilis campionati dal Mar Piccolo di Taranto, è stata osservata la presenza di un protozoo flagellato del genere Haplosporidium”  spiega Rossella Panarese (dottoranda di ricerca in Parassitologia) e primo Autore di un lavoro internazionale in stampa su Journal of Invertebrate Pathology.

Si tratta di un parassita presente nella ghiandola digestiva del bivalve che non consente allo stesso di alimentarsi portando a morte l’animale. Haplosporidium pinnae (questo il nome scientifico del mortale protozoo) è stato segnalato nel golfo di Taranto per la prima volta in Italia e sembra possa essere arrivato dalle coste Spagnole. “Non è ben chiaro come questo parassita sia giunto nelle nostre acque. Si suppone che le correnti marine, i movimenti delle imbarcazioni, che favoriscono l’insorgenza della mortalità di P. nobilis soprattutto nelle aree portuali, e l’aumento delle temperature dovuto al riscaldamento globale siano tra i fattori determinanti per la diffusione di questo parassita così come di molti altri che stanno colonizzando i nostri ecosistemi.” conclude il prof. Otranto. Attualmente sono in corso rilevamenti tesi ad accertare la presenza, sia pure sporadica, di individui sopravvissuti a questo grave evento di mortalità causata dal protozoo Haplosporidium e, notizia in anteprima, alcuni ancora vitali sono oggetto di attento monitoraggio da parte dei ricercatori universitari del dipartimento di Biologia. A questo punto si auspica che un probabile e futuro ripopolamento dei nostri mari possa avvenire nel prossimo decennio, proprio grazie a questi pochi individui sopravvissuti all’epidemia.

Questa ricerca è la tangibile dimostrazione di come le nuove generazioni di ricercatori dell’Università di Bari contribuiscano, ai massimi livelli scientifici, allo studio della conservazione di specie protette e, più in generale, della biodiversità dei nostri mari e, in genere, del nostro territorio.

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